mercoledì 23 novembre 2011

La sindrome di Polifemo


E’ evidente che uno degli effetti immediati del governo Monti è quello di costringere il Pd a difendere gli equilibri attuali e di consentire alla destra sia di essere maggioranza (e se ne vedono gli effetti) sia di iniziare la campagna elettorale, seminando dubbi sulla terzietà della squadra di Monti nei confronti dei famosi “poteri forti”, e addirittura rispolverando un certo anticapitalismo di maniera. 
Un anticapitalismo per modo di dire, che conviene smascherare da subito giacché sarà uno dei refrain della prossima ondata populista, e che si basa su due componenti assai tradizionali: il complottismo ed il nazionalismo, declinati per ora in forma debole, ma pronti a presentarsi nella loro veste più aggressiva.
Il complottismo sembra voler indicare responsabilità precise (gli speculatori, le banche…), ma è in realtà un modo per celare le responsabilità effettive: si parla male degli speculatori per nascondere che il capitalismo finanziario è inevitabilmente speculativo, o si parla male del capitalismo finanziario per nascondere che il capitalismo industriale non è ormai che l’altra faccia della finanza. 
Si attribuiscono le crisi ai complotti per fare credere che il funzionamento normale del capitalismo potrebbe essere diverso; si denuncia che i politici sono a libro paga delle imprese un po’ per dire “così fan tutti”, un po’ per far credere che un qualche leader carismatico potrebbe al contrario librarsi sugli interessi di classe e perseguire il puro interesse nazionale. 
E quanto al nazionalismo a volte esibito da parte dei media e del ceto politico, questo non può che preludere, essendo come sempre espressione dell’ala debole e protezionista del nostro capitalismo, a nuove servitù: se è “padano” prepara una più forte subordinazione alla Germania; se è “patriottico”, allenta i legami con l’Europa solo per precipitarsi ancor più di adesso al servizio degli Usa.
Criticare questo anticapitalismo truffaldino non deve però indurci ad ignorare le precise strategie, sovranazionali ma anche nazionali, che hanno condotto alla situazione attuale, e ad attribuire tutto alle impersonali convulsioni dei “mercati” o dell’”ordine globale”. Eppure proprio questo è il vizio di gran parte della sinistra: insistere, anche dopo che la crisi ha evidenziato le divisioni del capitalismo mondiale, nel prendersela con un Potere indistinto, egualmente diffuso in ogni luogo, ossia con nessuno. Come Ulisse con Polifemo, il capitalismo ha convinto i suoi critici di non essere identificabile con un nome, e, pur feriti quasi mortalmente dall’ennesimo colpo, questi si aggirano accecati, ululando «Nessuno mi ha colpito. Nessuno mi uccide!».
Così, non comprendendo chi ha mosso l’ultimo attacco al nostro Paese, non è possibile comprendere il ruolo dell’attuale premier; e se tutto viene ascritto ai mercati impersonali, Monti può anche apparire come un salvifico deus ex machina. Qui, e non nel garbo ostentato dalla nuova compagine ministeriale, stanno le ragioni profonde dell’inopinata apertura di credito concessa da molti, anche a noi vicini, al campione dell’europeismo liberista.
La situazione attuale è, in realtà, il risultato della convergenza non pianificata, ma di certo non occasionale, fra quattro progetti strategici: quello dei grandi soggetti finanziari che orientano decisamente le scelte del mercato; quello dell’amministrazione Usa che, pur indebolita, è ancora globalmente egemone; quello del governo tedesco, da tempo condizionato dai grandi esportatori; ed infine quello del grande capitalismo nostrano. I primi, per far fruttare l’immane liquidità fornita loro dagli stati, speculano al ribasso sui debiti sovrani dell’area politicamente più debole, ossia l’Europa, anche per acquisirne le risorse industriali; la seconda ha tutto l’interesse ad indebolire i titoli europei per poter meglio piazzare i propri; dal canto suo la Germania accetta più o meno di buon grado il gioco, usando spericolatamente gli assalti speculativi per disciplinare i Paesi europei meno produttivi e rafforzare la propria egemonia su quel che resta dell’Unione; e infine il nostro capitalismo ribadisce il proprio “europeismo senza condizioni” (per usare un’espressione polemica di Leonardo Paggi), ben disposto a subordinarsi all’Europa tedesca in cambio della possibilità di aggredire, con l’alibi del vincolo esterno, quel che resta della nostra economia pubblica e dei diritti del lavoro.
Non si tratta di un complotto, quindi, ma di un complesso rapporto tra forze diverse la cui risultante è però inevitabilmente segnata dai soggetti più forti: è, grazie all’ennesima “emergenza” indotta, l’ulteriore integrazione subalterna dell’economia italiana nell’Unione europea e dunque, data la debolezza di quest’ultima, nello spazio del capitale transnazionale a vocazione statunitense, con la conseguente messa a disposizione del lavoro e del patrimonio pubblico del Paese.
Accelerare questa integrazione è il compito di Monti: chi lo pensa salvatore della patria è più cieco di Polifemo.

Mimmo Porcaro - Liberazione

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