mercoledì 29 febbraio 2012

AmbienteValSusa _ tutto per essere informati sulla TAV in ValSusa‏



Sappiamo benissimo che è una fatica infernale ma questo sforzo lo dobbiamo fare, informiamoci correttamente, quando ci confronteremo con quelli che dicono "ma l'alta velocità... ma l'Europa.... ma il progresso..." sapremo cosa rispondere e in ogni caso sapremo con certezza quello che è giusto fare e quando farlo.




News N° 12                             AMBIENTEVALSUSA


                                                  28 febbraio 2012

                                                   PAROLE & FATTI


CARI MINISTRI, LE PAROLE ED I FATTI NON COMBACIANO.


Alle belle parole del Ministro degli Interni (non eletto) Cancellieri, purtroppo non seguono i fatti.
Il neo ministro dichiara che "Serve responsabilità ed equilibrio, c'è bisogno di una forte riflessione e molto dialogo". Brava! E riprende: "Le scelte siano state fatte con assoluta attenzione". Bene! Poi parla degli interessi del Paese.... Era ora! E continua dicendo che "serve il dialogo". Questa veramente l'avevamo già sentita! La raccontavano Bresso, Chiampa, Fassino, tutta gente notoriamente capace di dialogare, ma solo se gli danno sempre ragione.
Tutta gente che ha vissuto di politica, nel nome del "popolo", gente di sinistra che poi sul tema TAV (e tanti altri) te li trovi mano nella mano con Ghiglia, Ghigo, Enoc, Marcegaglia ecc.. mano nella mano per il bene del Paese naturalmente... Creare lavoro costruendo ferrovie da 1300 Euro al centimetro mentre tagliano pensioni, chiudono ospedali e fabbriche.
Se la comunicazione è tutto, i fatti sono le pietre. Pietre che ci vengono tirate in faccia. Virtualmente certo, ma come definire i provvedimenti reali, che non seguono le belle parole?
Prima pietra: slitta l'incontro dei 23 sindaci della Valle di Susa con il Prefetto. Seconda pietra: l'occupazione d'urgenza del vallone Clarea "manu militari" (e che mano! 200.000 euro al giorno?) avviene senza espropri. Terza pietra: la Prefettura, quindi il Ministero degli Interni, delega LTF a spiegare che gli espropri non sono ancora attivi (e guarda caso il dirigente di Ltf non ha neppure il coraggio di farsi inquadrare in TV). Uno non ha il coraggio e l'atro sembra un delatore mafioso... Non era più semplice dire che non siete in grado di rispettare le leggi sulla proprietà emettendo gli espropri e siete costretti, dinuovo, a "bleffare con i timbri"?
Da un Ministro pro tempore, diciamo meglio "a scadenza" ci aspettavamo qualcosa di diverso, di innovativo, parlare di interessi del Paese poi... perché non chiamare le cose col loro none? Interessi di lobbisti e faccendieri, della politica e degli appaltatori. Notate bene che i costruttori non li includiamo nei beneficiari dell'opera, perché i primi a fallire sarebbero proprio quelli che ci lavorerebbero! I padroncini, gli ultimi nella piramide... sarebbero i primi a pagare.
Da Passera, ministro pro tempore che studia da Primo ministro invece non era assolutamente lecito aspettarsi altro che"nessun tentennamento", anche perchè se lui tentennasse il potere bancario che sta nei suoi pantaloni e che gli muove gambe e braccia lo avrebbe probabilmente stroncato già domattina, dalle pagine di qualche importante quotidiano (lo sapevate che secondo alcuni storici inglesi fu il Corriere della Sera a spingere l'Italia nella grande Guerra, quella del 15/18 proprio quando gli italiani erano contrari?). Purtoppo però quel no ad ogni tentennamento suona proprio male, neppure sui taxisti e sulle farmacie tentennava il nostro belluomo, oggi per far prima ha dimenticato l'argomento. La cosa naturalmente non ci dà grande disturbo, ma chiarisce il concetto: tanti proclami per riempirci le orecchie, nessun obiettivo reale centrato.
Proprio a proposito di Passera facciamoci una domanda: non è lui il ministro dei trasporti? E cosa fa per i trasporti a parte spingere sulle opere che le banche finanzierebbero (compresa quella che dirigeva)? Porti, aeroporti, telefonia, internet, strade, metropolitane... sono di sua competenza o c'è solo la AV di Montezemolo/Della Valle/ Intesa San Paolo? Troppo semplice "non tentennare" adesso signor Passera, perché quando lo Stato sarà chiamato a pagare gli interessi bancari sui capitali impegnati nella Torino Lyon lei sarà da qualche altra parte, Morgan? Goldman? Banca d'Italia?
Forse non ve ne siete accorti ma la gente è proprio arrabbiata, prima i Forconi, oggi la Val Susa che si allarga in tutto il Paese. Ci avete appena allungato in modo fittizio la speranza di vita per allontanarci dalle pensioni, contemporaneamente state gettando nel panico tanti bravi giovani... sapete quanti ne conosciamo qui in Valle di Susa? Tanti giovani come Luca Abbà, che lottano giorno per giorno, tanti che stanno ancora ad osservare ma che presto diventeranno tanti Luca. Giovani che vogliono solo vivere con un minimo di dignità, lavoratori che non state assolutamente difendendo, cosa che dovrebbe essere vostro compito... (poveri illusi questi montanari della Val Susa, poveri illusi italiani...). Forse non ci avete mai pensato ma se girate con la scorta e vivete da gran signori lo dovete a chi dovreste tutelare. Voi sapete bene come stanno le cose, sapete che in Francia non hanno neppure il progetto dal confine a Lyon, sapete che i cugini d'oltralpe se partiranno lo faranno solo nel 2027, sapete che l'oera non serve e che la linea attuale è utilizzzata al 25% della sua potenzialità. Sapete che non ci sono i soldi, sapete che un'opera non può essere realizzata senza il consenso delle popolazioni, sapete che più il tempo passa più la gente capisce, sapete che siete a scadenza. Dovreste sapere che gli statisti vengono ricordati per scelte storiche, non per le bancarotte. Avete un'occasione unica come "governo tecnico", distinguervi e lasciare un segno sul Tav come su tante altre cose. Fatelo col consenso, non con la propaganda. Probabilmente avrete solo questa occasione, fatelo se siete persone serie. Per parte nostra di fronte a noi abbiamo una lunghissima speranza di vita... ed il tempo è il migior giudice. Sarà Dura, questo è l'augurio dei valsusini, lo facciamo anche a Voi.


P.S. Diverse provocazioni stanno emergendo in questi giorni dirette a singole persone; a Luca definito in vari modi irridenti, al procuratore Caselli apostrofato in vari modi dopo l'arresto di 26 NO TAV. Noi crediamo che la critica motivata e civile possa fare molta più presa sulle persone rispetto all'insulto fine a se stesso. Ognuno può avere delle ragioni ed ha il diritto di esprimerle, per quanto possibile ce ne faremo portavoce, ma evitiamo gli insulti da una parte e le strumentalizzazioni giornalistiche ormai scontate.


Breve riepilogo delle ragioni No TAV (video)
http://youtu.be/4XNP-Z8deTo  La truffa TAV
http://youtu.be/tNjb-RmfkeY  Opera ecomomicamente insostenibile
http://youtu.be/tNjb-RmfkeY  No tav no mafia
http://youtu.be/HLinfT-_S2Y  Le lobby del TAV
http://youtu.be/GpP0DoEG0tI  Preghiera (7 anni fa)
http://youtu.be/dLDPP5sCAnQ  Amianto e uranio in valle di Susa
http://youtu.be/_Orxy6JTj7I  Possibile disastro idrogeologico


La redazione: Ambiente Valsusa
Scrivi a: info@ambientevalsusa.it

lunedì 27 febbraio 2012

Italia, paese dai bassi salari: una lettura ragionata. Fonte: keynesblog

Siamo tra i paesi europei che pagano meno i lavoratori, mentre abbiamo gli orari di lavoro più lunghi. Nonostante ciò la competitività delle nostre imprese è tra le più basse. Il quadro di un paese che ha sbagliato obiettivi e che si appresta a commettere ulteriori errori.
 
Ieri e oggi i quotidiani hanno riferito la diffusione dei dati Eurostat sui salari medi lordi nei paesi dell’Unione. Tuttavia i dati diffusi, per ciò che riguarda l’Italia, si riferiscono al 2006, mentre per altri paesi si arriva al 2009. Inoltre i dati italiani riguardano le aziende con più di 10 dipendenti, mentre per altri paesi il campione è l’intero mondo del lavoro. Evitiamo quindi di riportare statistiche così disomogenee e ci affidiamo invece all’OCSE che fornisce dati più aggiornati e uniformi.

Salari medi lordi
Questo grafico rappresenta la situazione al 2002:
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OCSE: salari medi anno 2002, in US$ 2009 a parità di potere d'acquisto, prezzi correnti

Come si può notare l’Italia è una posizione defilata, ben lontana dal “centro” dell’Europa e vicina ai paesi meno ricchi.
La situazione al 2010 è invece questa:
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OCSE: salari medi anno 2010, in US$ 2009 a parità di potere d'acquisto, prezzi correnti

Si può notare che la situazione è peggiorata negli 8 anni trascorsi. L’Italia viene scavalcata dalla Spagna e dalla Finlandia e viene avvicinata dalla Slovenia. In sostanza, l’Italia da ultimo paese dell’Europa “ricca” nel 2002 passa ad essere il secondo dell’Europa “povera”. Da notare anche il modesto incremento dei redditi da lavoro in Germania, paese che ha adottato una politica di stabilità salariale, ma che continua a mantenere un differenziale importante con l’Italia e il resto dei “Pigs”.

Ore lavorate
Mentre i lavoratori italiani sono tra i peggio pagati d’Europa, il numero di ore di lavoro per anno per addeto risulta fra i più alti.
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                              OCSE: ore lavorate per addetto in un anno, anno 2010

Anche qui, si può notare come il nostro paese risulti vicino alle nazioni meno sviluppate d’Europa, piuttosto che alle maggiori economie. Si noti inoltre come la Grecia, spesso dipinta come paese di “fannulloni” risulti invece in testa tra i paesi considerati.

Costo del lavoro
Il costo del lavoro in Italia, inteso come retribuzione, oneri sociali e altre spese, risulta minore rispetto alle grandi economie europee, come si evince da questo grafico:
4                                Eurostat: costo del lavoro totale orario, anno 2010

L’Italia si colloca al di sotto della media della zona Euro. E’ quindi privo di fondamento l’assunto che le imprese italiane paghino il lavoro più di quelle delle economie avanzate europee, ad eccezione della sola Gran Bretagna (dove è particolarmente bassa la componente degli oneri sociali).

Produttività
Il quadro è ribaltato invece quando si considera la produttività. Qui mostreremo la produttività come calcolata dall’OCSE, Prodotto interno lordo (in Euro) per ora lavorata:
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            OCSE: Produttività (Pil in euro / ore di lavoro) a prezzi costanti

Come si può notare, la produttività italiana risulta bassa in valore assoluto e stagnante, quella Greca è addirittura calante, mentre tutte le altre sono crescenti, sia pure con inclinazioni differenti.
In altre parole, l’Italia è un paese fermo da molti anni. La sua produzione, intesa nel senso più generale, è rimasta poco remunerativa, mentre i partner europei hanno saputo migliorare la capacità di produrre reddito.
Da notare che nel 2003 è intervenuta una significativa modifica del mercato del lavoro, con l’introduzione di nuove forme di lavoro flessibile, ampiamente sfruttate dalle imprese. Ciò però non ha avuto effetti significativi sulla produttività del lavoro.
 
Conclusioni
Mentre il dibattito pubblico appare tutto concentrato sulla riduzione delle tutele del lavoro, le cui conseguenze più immediate sono il contenimento salariale e l’aumento delle ore di lavoro effettive, i dati mostrano invece che le politiche sinora adottate in questa stessa direzione non hanno avuto l’effetto di ridurre il gap di produttività rispetto alle potenze economiche europee e si sono pertanto dimostrate del tutto inefficaci rispetto agli obiettivi enunciati.
Come abbiamo già evidenziato, il problema della bassa produttività italiana non può addebitarsi al fattore lavoro, che anzi risulta maggiormente a buon mercato che altrove.
Secondo l’UE “la crescita della produttività dipende dalla qualità del capitale fisico, dal miglioramento delle competenze e della manodopera, dai progressi tecnologici e dalle nuove forme di organizzazione.”
Le cause probabili delle scarse performance italiane andrebbero ricercate nella scarsa “produttività del capitale”, vale a dire dei mezzi di produzione, intesi nel senso più ampio, obsoleti o sottoutilizzati, così come nella frammentazione del capitale in moltissime microimprese che non riescono a realizzare quelle economie di scala e quell’innovazione di processo e di prodotto che permettono una maggiore competitività delle stesse e nella specializzazione produttiva. Non sorprende quindi la bassa qualificazione dei lavoratori richiesta nel nostro paese dal tessuto produttivo, che abbiamo già evidenziato in passato.
La discussione pubblica si sta quindi svolgendo sul lato sbagliato dei fattori produttivi. Riforme che tendessero a precarizzare ulteriormente il lavoro e/o ridurre i salari effettivamente percepiti, non avrebbero probabilmente impatti positivi sulla produttività, come non li hanno avuti in passato, mentre risulterebbero nocive sul lato della domanda aggregata.

domenica 26 febbraio 2012

Per Monti e Marchionne il costo del lavoro è troppo alto...Invece: In Italia stipendi vicini alla metà di quelli tedeschi, più bassi anche della Grecia

La classifica Eurostat delle retribuzioni dell'Eurozona: la media del nostro Paese è di 23.406 euro lordi l'anno

MILANO - In Italia la disoccupazione, soprattutto quella giovanile è un problema grave. Ma anche chi un posto di lavoro ce l'ha e pure a tempo indeterminato non se la passa troppo bene. E non solo per il peso del carico fiscale e contributivo. In Italia infatti gli stipendi medi sono tra i più bassi dell'Eurozona. Addirittura inferiori a quelli della Grecia. E in assoluto superiori solo a Malta, Slovacchia, Slovenia e Portogallo, Paesi non certo comparabili al nostro per dimensioni e sviluppo industriale.
LA CLASSIFICA - La classifica che emerge dai dati Eurostat, pubblicati nel recente rapporto «Labour market statistics», prende come riferimento le aziende con almeno 10 persone ed ha dati riferiti al 2009. Dalle statistiche emerge che in media un lavoratore italiano ha guadagnato nell'anno di riferimento 23.406 euro lordi: circa la metà che in Lussemburgo (48.914), Olanda (44.412) o Germania (41.100). Seguono Irlanda ( 39.858), Finlandia (39.197) Francia (33.574) e Austria (33.384) . Ma più sorprendente risulta il livello più elevato di due Paesi in grave difficoltà economica come la Grecia (29.160) e la Spagna (26.316) a cui fa seguito Cipro (24.775).
AVANZAMENTO - Eurostat riporta l'elenco delle paghe lorde medie annue dei Paesi dell'Unione europea anche per gli anni precedenti all'ultimo aggiornamento (2009), così da poter anche osservare la crescita delle retribuzioni. L'avanzamento per l'Italia risulta tra i più ridotti: in quattro anni (dal 2005) il rialzo è stato del 3,3%, molto distante dal +29,4% della Spagna, dal +22% del Portogallo. E anche i Paesi che partivano da livelli già alti hanno messo a segno rialzi rilevanti: Lussemburgo (+16,1%), Olanda (+14,7%), Belgio (+11,0%) e Francia (+10,0%) e Germania (+6,2%).
DONNE - Una buona notizia per l'Italia, invece, arriva dalle differenze di retribuzioni tra uomini e donne, quello che Eurostat chiama «unadjusted gender pay gap», l'indice utilizzato in Europa per rilevare le disuguaglianze tra le remunerazioni (definito come la differenza relativa, espressa in percentuale, tra la media del salario grezzo orario di lavoratori e lavoratrici). Ma è solo un'illusione. La Penisola, infatti, con un gap che supera di poco il 5% (con riferimento al 2009) si colloca ampiamente sotto la media europea, pari al 17%, risultando il paese con la forbice più stretta alle spalle della sola Slovenia; ma, appunto, non è tutto oro quel che luccica. Perchè a ridurre le differenze di stipendio in Italia contribuiscono fenomeni di cui non si può andare fieri, come il basso tasso di occupazione femminile e lo scarso ricorso (a confronto con il resto d'Europa) al part time. Non a caso tra i Paesi che vantano una minor divario ci sono anche Polonia, Romania, Portogallo, Bulgaria, Malta, ovvero tutti Stati con una bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro.

 

La logica di Porta Nuova di Dante Barontini, www.contropiano.org

Le cariche della polizia, sabato sera, alla stazione di Torino, sono una prova. Non un semplice indizio.
Partiamo dai fatti. La versione di polizia e media mainstream non sta in piedi né dal punto di vista fattuale né da quello logico. Vediamo cosa scrive il Corriere della sera (che come gli altri riporta i lanci di agenzia, con il più banale dei copia-e-incolla, ma con tanta “professionalità”).
Un gruppo di manifestanti ha occupato la stazione di Porta nuova a Torino. Tutto è iniziato quando un gruppo di 300 persone arrivate alla stazione di Torino dalla val di Susa dopo il corteo è stato fermato da alcuni addetti del personale ferroviario. A quel punto, siccome molti erano sprovvisti del biglietto, è intervenuta la polizia ed è iniziato una lancio di pietre e petardi contro gli agenti. Gli agenti hanno respinto il gruppo con delle cariche di alleggerimento. Un poliziotto è rimasto ferito ad un occhio e, secondo fonti della questura, sarebbe partita una sassaiola contro l'autombulanza.
'Mmazza che criminali nati, 'sti No Tav venuti da fuori: tirano pietre pure sulla Croce Rossa. Repubblica ci aggiunge una connotazione praticamente vaga, ma mediaticamente arcinota: “antagonisti”. Così tutti “capiscono”, anche se non sanno nulla.
Non è andata così e ci sono decine di testimonianze di viaggiatori casuali o manifestanti, a partire da quella di Giorgio Cremaschi, che dicono l'esatto opposto: cariche a freddo contro chi stava ripartendo da Torino, dopo esser venuto via dalla Val Susa.
Ma anche dal punto di vista logico, si diceva, questo raccontino di questura fa acqua da tutte le parti. Com'è noto, in Italia il controllo dei biglietti viene fatto dal personale ferroviario a treno in marcia. Chiunque di noi, nella vita, ha accompagnato una vecchia zia o una nonna fin dentro lo scompartimento, ha sistemato le valige, salutato la vecchietta e poi è sceso dal treno prima della partenza. E nessuno, giustamente, gli ha mai chiesto se avesse o no il biglietto. Succede solo sui vagoni letto, per ovvie ragioni; ma questi sono stati quasi aboliti fa Fs, per cui...
Invece, secondo la questura, sabato a Torino i ferrovieri si sarebbero trasformati in “controllori preventivi” nei confronti di tutti quelli che entravano in stazione. Magari puntando su quelli che ancora si portavano dietro una bandiera No Tav. Ferrovieri davvero strani, non trovate? Somigliano più ai finanzieri spediti nei bar di Cortina a caccia di scontrini. A quel punto i buoni agenti di polizia avrebbero “supportato” i fedeli dipendenti di Mauro Moretti, ricevendo però sassate e – si suppone – insulti. Le pietro contro l'ambulanza sono la ciliegina sulla torta, l'esagerazione dello scribacchino che smonta anche la già quasi nulla credibilità della velina passata alle agenzie. E forse il fatto che a capo della PolFer di Torino ci sia l'ineffabile dr. Spartaco Mortola, protagonista di Genova 2001, scuola Diaz compresa, spiega più di qualcosa.
La verità è che si veniva da una settimana di “allarmi” pompati a bella posta. Col capo della polizia, Manganelli, chiamato a spiegare alle Camere che ci sono orde di “anarcoinsurrezionalisti”, che sono anche “pronti ad uccidere” e che - “naturalmente” - si stanno “addestrando nella Val Susa”. I media non si sono fatti domande neppure a se stessi (il mestiere consisterebbe nel farle anche ad altri, persino o in primo luogo alle autorità) e hanno gonfiato la tesi, condendola con altri elementi di colore. Fino a rivelare quel che ognuno potrebbe sapere già da solo: che in ogni movimento vengono infiltrati dalle varie polizie spie e provocatori, gente che deve schedare dall'interno i partecipanti al movimento (definendo meglio i ruoli, permettendo di distinguere organizzatori, partecipanti, simpatizzanti e via database-ando) e che magari deve provocare incidenti fuori luogo, non condivisi e non necessari, dove e quando serve al potere. È la normale distinzione tra legittima resistenza” e “provocazione poliziesca”. Indimenticabili, in questo senso, i “black bloc” che a Genova 2001 – ma anche in Valle, ci sono le foto – si prendono una birra con glia genti in divisa.
Hanno anche spiegato che ci sono “protagonisti” che in realtà fanno gli informatori per i servizi. Neanche questo è un segreto. Gli esseri umani hanno tante debolezze e prima o poi c'è qualcuno che pensa di poterle sfruttare. A volte ci riesce. In ogni movimento, se c'è memoria storica, si diffida un po' di chi vive sopra le righe, di chi ha vizi costosi e un reddito ufficiale scarso. “Pippare” coca a fiumi, per fare giusto un esempio, mal si concilia con i lavoretti precari, se non c'è una famiglia molto benestante alle spalle. Spesso, perciò, si finisce per fare gli spacciatori oppure gli informatori. Perché ogni merce ha un costo e richiede un certo reddito, non si scappa.
Ma questo si sa. Magari non si conoscono tutti i nomi, ma si sa. Sbattere queste cose, in certi modi, sui media principali serve a costruire una gabbia “culturale” utile a scoraggiare la partecipazione ai movimenti, alle manifestazioni, alla “resistenza”. Serve a infondere diffidenza, paura, scoraggiamento. E a preparare il grande assalto affidato alle “forze dell'ordine”.
L'intelligenza del popolo della Val Susa, sabato, ha mandato a vuoto tutto il marchingegno montato in vista della manifestazione. La frustrazione degli “strateghi” del Palazzo deve esser stata grande. E le cariche a Porta Nuova un debole surrogato. Avevano deciso che ci sarebbero stati scontri, si sono dovuti accontentare degli scontrini...

A Porta Nuova un film già visto. Regia di Spartaco Mortola

di  Redazione Contropiano


Prima Caselli, poi Manganelli, poi Spartaco Mortola. Cariche a freddo e versioni di comodo. Una trappola a fine giornata per poter di nuovo associare la lotta dei No Tav alla violenza e al pericolo. Un film già visto...
Come abbiamo già scritto ieri quella alla stazione di Torino Porta Nuova contro i No Tav che tornavano verso Milano, Roma e Genova dopo la grande manifestazione in Valsusa è stata una provocazione bella e buona. Una provocazione studiata, concertata, preparata a dovere. Non si tratta di complottiamo. Basta leggere i ‘segnali’ lanciati a reti e quotidiani unificati nei giorni scorsi. Prima il procuratore di Torini Caselli – mandante della retata contro i No Tav in tutta Italia del 26 gennaio - che afferma di sentirsi minacciato, dà degli antidemocratici e addirittura dei camorristi a chi lo contesta. Poi la sfilza di dichiarazioni e prese di posizione a difesa del Procuratore, che ne adottano la stessa chiave di lettura: essendo un magistrato Caselli non può essere contestato, chi lo fa è un intollerante, un fascista, un antidemocratico. Anzi è un violento, un criminale. Brillano nella solerzia di tali dichiarazioni i dirigenti locali e nazionali del PD e le organizzazioni collaterali a questo partito: Legambiente, Anpi ecc. 
Ma ancora non basta. Occorre mandare un segnale ancora più forte, più esplicito a quel popolo No Tav e a tutti quei movimenti sociali e popolari che in Italia resistono e si oppongono al regime bancariol-bocconiano di Monti e agli interessi trasversali dei poteri forti. E così il capo della Polizia Manganelli rispolvera il sempre utile spauracchio degli ‘anarchici’. Afferma, senza che giornalisti e politici gli chiedano di mostrare pezze d’appoggio di nessun tipo al suo allarme – che “gli anarchici hanno fatto il salto e sono pronti ad uccidere”. Dove? Ma naturalmente in Valsusa!
Ma non basta ancora. Perché ieri da Bussoleno a Susa hanno sfilato decine e decine di migliaia di persone provenienti da tutta Italia, e non solo dall’odiata e appetitosa valle piemontese. Uno dei cortei più affollati che in Italia si ricordi contro l’alta velocità e l’alta voracità delle coop bianche e ‘rosse’. L’intelligenza degli organizzatori e dei partecipanti smonta i progetti di chi voleva trasformare la giornata in una battaglia campale. Il corteo sfila determinato ma tranquillo, e tutto fila liscio. I telegiornali e i lettissimi siti web dei grandi quotidiani nazionali e locali non possono far altro che titolare sul carattere pacifico della manifestazione in Valsusa, e di raccontarne i contenuti in mancanza di botte, cariche, petardi. E quindi qualcuno, dentro gli apparati di sicurezza di questo paese, pensa di far scattarte un ‘piano B’ che evidentemente era stato già pensato e approntato.
Stanchi ma entusiasti per la riuscita della manifestazione, centinaia di manifestanti prendono i treni della Valsusa per raggiungere Torino, e da lì ripartire verso Milano, Roma, Genova, Firenze. Ma quando arrivano a Porta Nuova trovano la stazione letteralmente occupata da uno schieramento incredibile di poliziotti e carabinieri in versione ‘robocop’. Qualcuno comincia a chiedersi il perché di tanta militarizzazione a giornata di fatto conclusa. Tra i manifestanti ci sono sì gli ‘antagonisti’, gli ‘anarchici’, ‘gli squatter’ (ma i giornalisti che usano queste etichette ne conosceranno almeno il significato?). Ma ci sono anche famiglie, manifestanti non più giovincelli e non necessariamente vicini – politicamente e anagraficamente – ai centri sociali o ai collettivi universitari. E’ una delle caratteristiche fondamentali del popolo No Tav, che dopo 20 anni di lotta non ha gettato la spugna e anzi cresce e si rafforza.
Ma il clima a Porta Nuova si fa subito pesante: quando stretti sulle banchine dei binari i manifestanti si incolonnano per salire sui treni per Milano o per Genova a sbarrargli la strada trovano i celerini in assetto antisommossa. Diretti, raccontano i testimoni, dai funzionari della Polizia Ferroviaria. E chi è a dirigerela PoliziaFerroviariadi Torino? Un certo Spartaco Mortola. Vi ricordate chi è Spartaco Mortola?
Lo stesso che capitanò le Forze dell'Ordine nel febbraio2010 inValsusa, con i manifestanti presi a bastonate e rincorsi fin nei boschi. Ma soprattutto Mortola è l’ex capo della Digos di Genova ai tempi della macelleria messicana contro i manifestanti inermi nel 2001.  Assolto a novembre in Cassazione per i fatti di Genova «perché il fatto non sussiste» (le prove false, le molotov, erano nel frattempo sparite) e assolto anche dall’accusa di aver istigato alla falsa testimonianza l´ex questore di Genova Francesco Colucci durante il processo per l´irruzione della polizia nella scuola Diaz al G8 del luglio 2001.
Un regista niente male per un film già visto. I manifestanti si avviano a salire sul loro treno ma scoprono che il biglietto cumulativo che avevano concordato con le ferrovie valeva solo per l’andata, ma non per il ritorno. Raccontano i testimoni sul sito NoTav.info: “Mentre era appena iniziata la trattativa per stabilire il costo del biglietto collettivo,la Poliziaha caricato violentemente i No Tav fermi al binario20 inattesa del loro treno. Non contenti, a trattativa finita e a prezzo concordato, hanno effettuato un’altra carica a freddo, prendendo alle spalle i NoTav che erano stati appena fatti passare a seguito della trattativa. Sono stati lanciati lacrimogeni addirittura dentro i vagoni dei treni: una vera e propria azione punitiva!”
Ancora: “Hanno cercato lo scontro in ogni modo, ad esempio spostando il treno sul binario 20, che è l'ultimo e di fianco ha l'edificio della Stazione, in modo che nessuno potesse scappare lateralmente e poterci schiacciare anche verso il muro. Sappi che ad un agente è scoppiato un lacrimogeno in mano ed è stato portato via, sicuramente intossicato. Sappi inoltre che il CS intanto si infilava pericolosamente nelle carrozze e che i poliziotti sono entrati a manganellare anche dentro alcuni corridoi. Hanno anche pestato due ragazze (all'apparenza minorenni) sedute accanto a noi. Lungo il muro dell'edificio, dove si trovano gli uffici del personale Trenitalia si trovavano anche transenne ammucchiate che hanno reso pericolosissima la fuga dei manifestanti rincorsi dai poliziotti”.
Quando tutto finisce le forze dell’ordine si affrettano a pulire la stazione e a far sparire le bende e i fazzoletti intrisi del sangue dei manifestanti sparsi sul pavimento. Intanto le agenzie di stampa cominciano a battere la notizia, naturalmente ripresa dai quotidiani, che tutto è cominciato quando contro i poliziotti che ‘affiancavano’ il personale di stazione nel controllo dei biglietti degli ‘anarchici’ sono stati lanciati sassi e petardi. In effetti qualche sasso è stato lanciato contro i celerini bardati con caschi, scudi e tute spesse cinque centimetri… Il brecciolino raccolto sui binari della stazione da qualche manifestante pestato durante la prima carica. Nei lanci di agenzia i lacrimogeni non ci sono, anzi viene riportata la smentita della Questura: “mai usati lacrimogeni a Porta Nuova”.
E comunque il risultato scientificamente ricercato è stato raggiunto: i titoli parlano di scontri, di ‘anarcoinsurrezionalisti’ e ‘autonomi’. Come da copione il popolo No Tav è di nuovo associato alla violenza, al pericolo.

Berlusconi si è prescritto con le sue mani di Domenico Gallo, Micromega

La sentenza che ha dichiarato non doversi procedere per essere prescritto il reato di corruzione dell’ avv.Mills, testimone chiave in altri processi, Silvio Berlusconi se l’è proprio meritata.
Si può dire che l’ha scritta lui con le sue mani, com’è già avvenuto il 30 gennaio 2008 con il proscioglimento per il reato di falso in bilancio, che Berlusconi in modo lungimirante aveva fatto sostanzialmente depenalizzare nel 2002.

Anche questo proscioglimento è frutto delle sue fatiche e del lavoro indefesso dei suoi sarti in Parlamento. In verità molti serventi in Parlamento si sono attivati per salvare il cavaliere dall’onta di dover rendere conto alla giustizia di quei fatti che il codice penale, per la generalità dei cittadini, considera reati. Il merito principale spetta alla legge ex Cirielli del 2005, con la quale la durata della prescrizione dei reati è stata ridotta per le persone per bene ed allungata per le persone per male. Però il testimone giudiziario, avv. Mills, è stato condannato in primo grado ed in appello per essersi fatto corrompere dai soldi di Berlusconi e la Cassazione, pur dichiarando la prescrizione, ha confermato la condanna del corrotto al risarcimento dei danni, in tal modo risultando definitivamente accertato che la corruzione era avvenuta.

Pertanto la prescrizione breve non bastava per salvare Berlusconi, coimputato con l’avv. Mills nel medesimo processo. Sono state necessarie ulteriori fatiche. Dopo che la Corte Costituzionale ha cassato, nel 2004, il c.d. lodo Schifani, che assicurava l’immunità del Presidente del Consiglio più amato dagli italiani, è stato necessario far confezionare al sarto Alfano un altro abito di impunità per il Presidente (il lodo Alfano), che è stato realizzato a tempo di record ed è entrato in vigore nell’agosto del 2008, giusto in tempo per ottenere lo stralcio della posizione di Berlusconi dal processo a carico dell’avv. Mills che si stava avviando alla conclusione dinanzi al Tribunale di Milano.

Quando anche il secondo abito è stato stracciato da una Corte Costituzionale impenitente, nell’ottobre del 2009, Berlusconi ha perso le staffe di fronte a tanta mala creanza ed ha ordinato ai suoi sarti di correre ai ripari. Poiché i vestiti non si potevano più confezionare, sono state inventate delle braghe di tela, chiamate legittimo impedimento che impedivano ai magistrati di andare avanti con i processi per non far perdere tempo al Presidente del Consiglio, impegnato – sappiamo come  nella conduzione degli affari di Stato. Quando, infine, con perseveranza diabolica, la Corte Costituzionale, nel gennaio 2011, ha neutralizzato anche il legittimo impedimento, allora non c’è stato più niente da fare, e Berlusconi è stato costretto ad andare in Tribunale, ma ormai era troppo tardi.

Non era mai capitato nella storia d’Italia che un imputato faticasse tanto per sottrarsi alle grinfie della legge, fino al punto da dover cambiare ripetutamente le leggi penali e la procedura penale in sintonia con le sue esigenze processuali di impunità.
E’ stata una fatica di Sisifo, però ne è valsa la pena. Oggi Berlusconi ben può dire di averla scritta, questa sentenza, con le sue mani.

NON TAV STREPITOSO SUCCESSO DEL CORTEO A SUSA

Gigantesca manifestazione in Val Susa contro la Tav. Tutto bene, se la polizia sta ferma...
I corvi e i provocatori - tutti quelli che in questi giorni aveva strombazzata l'allarme sui cosiddetti "anarcoinsurrezionalisti - sono rimasti con le pive nel sacco. A interrogarsi sulla propria pochezza e sull'intelligenza superiore di un popolo consapevole delle proprie ragioni, determinato del far valere i propri diritti, capace di spuntare le unghie agli utili idioti come alla provocazione di regime.
In tanti sono saliti in valle, in tanti hanno confermato il loro impegno, nonostante le minace e gli allarmi strumentali. La Fiom, tra gli altri, con Landini nel corteo, come tanti. E il sindacalismo di base, gli amministratori locali, i pezzi di movimento più disparati. La risposta migliore, dopo una settimana vergognosa per le istituzioni della repressione e i giornali cosiddetti "indipendenti", ma ahiloro di proprietà delle stesse aziende che nella Tav ci lavorano e fanno profitti. Una settimana vergognosa per il Pd, soprattutto quello torinese e piemontese. Come per la Lega o il Pdl, il Terzo Polo e le frattaglie del perbenismo ben remunerato dalle imprese.
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«La Fiom è da sempre parte di questo movimento, perchè i nostri valori si incrociano con le battaglie di questo territorio che hanno respiro più ampio perchè pongono il problema di un modello diverso di sostenibilità ambientale»: lo ha detto Maurizio Landini, segretario generale della Fiom-Cgil, in testa al corteo del Movimento No Tav. «Servono nuove politiche per difendere l'occupazione e cambiare modello di sviluppo. Per queste ragioni abbiamo proclamato lo sciopero generale del prossimo 9 marzo a Roma».
Anche il Corriere della sera ha dovuto arrendersi.

La marcia dei No Tav. Perino: «Martedì iniziano gli espropri, resisteremo»

MILANO - Musica, trampolieri, trattori e anche un carro allegorico con una piovra dai cui tentacoli sventolano banchieri e politici di gommapiuma. Giornata di sole per il corteo dei No Tav, partito da Bussoleno alle 13.40, è arrivato a Susa, dopo aver sfilato per otto chilometri ribadendo il su no all'alta velocità.
IN TANTI CON LA STAMPELLA - In moltissimi hanno risposto all'appello lanciato dal leader del movimento Alberto Perino: 75 mila secondo gli organizzatori, 12 mila secondo la questura. Famiglie, anziani, giovani e anche diversi bambini, nonché esponenti dei centri sociali di tutta Italia che hanno sfilato in fondo al corteo. In tanti sono arrivati da varie parti d'Italia - in particolare da Roma, dalla Toscana e dal Nord Est - con un'ottantina di pullman e, in treno, da Milano e da Genova, Padova e Firenze. Qualcuno anche dall'estero. Alcuni manifestanti si sono presentati con le stampelle, un gesto simbolico di solidarietà nei confronti di Guido Fissore, l'amministratore comunale di Villar Focchiardo arrestato e ora ai domiciliari. Tra i motivi del suo arresto il fatto che il 3 luglio abbia brandito una stampella contro le forze dell'ordine nei giorni dei disordini intorno al cantiere di Chiomonte. Sulla vetrina del negozio di Mario Nucera, il barbiere di Bussoleno, anche lui agli arresti domiciliari, un messaggio di sostegno.
PRESTO I MILITARI IN AZIONE - Il movimento No Tav si prepara dunque a battersi. Gli avvocati del Legal team che seguono il movimento spiegano: «se provvederanno agli espropri con un'ordinanza prefettizia, li impugneremo per violazione dell'articolo 2 del Testo unico sulla pubblica sicurezza.». E Perino avverte: «Siamo sicuri che martedì i militari occuperanno un terreno e sgombereranno la baita della Maddalena. Ma noi opporremo resistenza». A fianco dei No Tav anche il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini: «Non servono opere pubbliche faraoniche, ma opere di manutenzione del territorio e ambientalmente sostenibili». «Perché - ribadisce - nel nostro Paese manca un piano sulla mobilità sostenibile e sul trasporto pubblico». Poi i sindaci con la fascia tricolore, esponenti politici dei Verdi e il presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza che parla di «una manifestazione partecipazione e con contenuti». Un corteo pacifico, insomma, che per Perino «vuole ribadire una volta per tutte l'unità del movimento. Non esistono buoni o cattivi, siamo tutti No Tav».
Benedetta Argentieri
Marta Serafini
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«Sono qui perchè questo è l'ultimo baluardo di democrazia in Italia»: lo ha detto Gianni Vattimo, europarlamentare dell'Idv, oggi a Susa (Torino), dopo la conclusione del corteo No Tav. Vattimo ha motivato l'affermazione spiegando che «il governo è tecnico, cioè nelle mani dei poteri dominanti», e aggiungendo che il Parlamento «è quello che ha sancito che Ruby è la nipote di Mubarak». Per Vattimo, la Tav «è una delle grandi invenzioni delle mafie tecnologiche per guadagnare un pò di soldi».
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Dopo quattro ore e mezza si è concluso il corteo No Tav. La coda del lungo serpentone, partito da Bussoleno, ha raggiunto la stazione ferroviaria di Susa, otto km più a monte, alle 17. Uno speaker ha detto: «Siamo centomila». Dal palco è stato lanciato l'invito a proseguire la marcia verso la cattedrale della città per non congestionare la zona.
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«Il blitz delle forze dell'ordine per l'esproprio dei terreni alla Maddalena di Chiomonte avverà martedì mattina»: lo ha detto il leader del movimento NoTav Alberto Perino parlando dal palco di Susa (Torino) dove è arrivata la testa del corteo, partito da Bussoleno (Torino). «Invito tutti a raggiungere la zona la notte tra lunedì e martedì - ha detto Perino - e vedremo se ci porteranno via di peso. Delle ordinanze non ci importa nulla».
Il «legal team» del Movimento No Tav, impugnerà gli eventuali espropri dei terreni nella zona del cantiere della Tav Torino-Lione in località La Maddalena di Chiomonte (Torino) se questi verranno effettuati soltanto mediante un'ordinanza prefettizia: lo hanno annunciato i 25 legali che compongono lo stesso «legal team» e che stanno sfilando nel corteo partito da Bussoleno (Torino) e diretto a Susa (Torino). «Porteremo il provvedimento davanti al Tar del Piemonte - hanno detto gli avvocati - per violazione dell'art.2 del testo unico sulla pubblica sicurezza, in quanto non vi è alcuna urgenza e vi sono altri strumenti per provvedere a espropriare i terreni in maniera corretta».

Delocalizzazione, in Italia persi 34 mila posti di lavoro in due anni. Emorragia dalla Fiat - di Salvatore Cannavò, Il Fatto Quotidiano



Dainese, Omsa, Geox, Bialetti, Rossignol e tante altre aziende scelgono di produrre all'estero per ridurre i costi. Situazione particolarmente grave nel nordest per tessile e calzature. Per l'Isat, nel 55 per cento dei casi la meta è un paese europeo. Nell'ultimo decennio la casa automobilistica torinese ha cancellato ventimila posti nel nostro paese

Sergio Marchionne ventila l’ipotesi di chiudere due stabilimenti Fiat in Italia che, evidentemente, sarebbero sostituiti da produzioni all’estero. Non importa come e dove: non necessariamente negli Stati Uniti, ma magari in Serbia o in Cina. Pochi gli ricordano che negli ultimi dieci anni i posti di lavoro persi in Italia dal gruppo Fiat a causa del fenomeno delle delocalizzazioni sono stati ben 20 mila. Cinquemila quelli dei call center, altrettanti nella telefonia. Delocalizzazioni come quella della Omsa fanno perdere all’Italia 400 posti di lavoro, mentre la Dainese di Molveno, la casa delle tute sportive e motociclistiche che rifornisce anche Valentino Rossi, sposta tutto in Tunisia, dove impiega già 500 persone, salvando solo 80 lavoratori su 250. E poi, ancora, il caso di Bialetti, Rossignol, Geox e la complessa situazione del nord-est dove il fenomeno della delocalizzazione nei settori del tessile e abbigliamento e calzaturiero è stata devastante con le perdite, solo nel distretto tessile veneto (Verona, Vicenza, Padova e Treviso) di decine di migliaia di posti con un impatto sui piccoli laboratori artigiani che facevano da sub-fornitori alle imprese medio-grandi.

Prendendo come base della propria ricerca le imprese italiane dell’industria e dei servizi con più di 50 addetti, l’Istat ha rilevato che nel periodo 2001-2006, circa 3. 000 imprese, pari al 13, 4 per cento delle grandi e medie imprese industriali e dei servizi, hanno avviato processi di questo tipo. L’internazionalizzazione ha interessato maggiormente le imprese industriali (17, 9 per cento) rispetto a quelle operanti nel settore dei servizi (6, 8). Ad attirare di più le imprese italiane nel periodo 2001-06 è stata l’Europa, verso la quale si è indirizzato il 55 per cento delle imprese internazionalizzate. Nel resto del mondo si distinguono Cina (16, 8) e Usa e Canada (complessivamente 9, 7), seguiti da Africa centro-meridionale (5) e India (3, 7). Per il periodo 2007-2009 l’Istat segnala una forte crescita degli investimenti in India, Africa e nei paesi europei extra Ue. Secondo i dati dell’European Restructuring Monitor, progetto che monitora i processi di ristrutturazione aziendale nei 27 paesi Ue più la Norvegia, la percentuale di incidenza degli stati asiatici è al 25 per cento.

La motivazione fondamentale di questa scelta è scontata, la riduzione del costo del lavoro e degli altri costi di impresa. Nelle brochure di consulenti aziendali come la Pricewaterhouse si può leggere che le opportunità della delocalizzazione sono date dalla crescita dei paesi emergenti, dal formarsi di una nuova classe media, dallo sviluppo delle infrastrutture e dall’emergere di sempre nuovi paesi (non solo est europeo ma anche Cina, Vietnam e Thailandia). Riguardo all’impatto sui posti di lavoro, secondo i dati dell’Erm, il 6,4 per cento dei posti di lavoro persi in seguito a ristrutturazioni aziendali è “imputabile a iniziative di delocalizzazione”. Numero che, per il 2009-10 significa circa 34 mila posti persi.

All’Italia va un po’ meglio di altri paesi europei che in termini di occupazione soffrono perdite maggiori: il 6,6 per la Francia, il 6,9 per la Germania e, addirittura, l’ 8,9 per cento per la Gran Bretagna. I comparti maggiormente colpiti sono quello tessile, l’abbigliamento e calzaturiero, la meccanica e le apparecchiature, industriali e per ufficio, la meccanica elettrica e il settore automobilistico (la Fiat in Serbia insegna).

Un ultimo sguardo sul fenomeno lo offrono i dati dell’Istituto per il commercio estero secondo i quali il numero di investitori italiani (gruppi industriali o imprese autonome) attivi sui mercati internazionali ammonta a quasi 5. 800 unità, per un totale di 17. 200 imprese estere partecipate a vario titolo con un numero di dipendenti totali pari a 1.120.550 unità per un fatturato realizzato dalle affiliate nel 2005 di quasi 322 miliardi di euro.

Per contro, le imprese italiane partecipate da società estere sono circa 7.000, con l’intervento di quasi 4.000 imprese investitrici, un totale di dipendenti in Italia di quasi 860.000 unità. Un saldo negativo per 260 mila posti di lavoro. Secondo la Banca d’Italia, la delocalizzazione è uno degli effetti della “nuova globalizzazione” in cui cresce l’interdipendenza tra imprese diverse collegate fra loro in una catena del valore. Ma, si domanda l’Istituto centrale, “occorre chiedersi che ruolo le imprese italiane stiano giocando, e possano in prospettiva giocare, in questo nuovo mondo”.
 
 
Delocalizzazione, la mappa delle aziende emigrate oltreconfine
Da Fiat a Benetton, passando per Telecom e Ducati. Ecco una mappa delle attività spostate all’estero da alcuni grandi gruppi italiani.

FIAT: stabilimenti aperti in Polonia, Serbia, Russia, Brasile, Argentina. Circa 20. 000 posti di lavoro persi, dai 49. 350 occupati nel 2000 si arriva ai 31. 200 del 2009 (fonte: L’Espresso).

DAINESE: due stabilimenti in Tunisia, circa 500 addetti; produzione quasi del tutto cessata in Italia, tranne qualche centinaio di capi.

GEOX: stabilimenti in Brasile, Cina e Vietnam; su circa 30. 000 lavoratori solo 2. 000 sono italiani.

BIALETTI: fabbrica in Cina; rimane il marchio dell’ “omino”, ma i lavoratori di Omegna perdono il lavoro.

OMSA: stabilimento in Serbia; cassa integrazione per 320 lavoratrici italiane.

ROSSIGNOL: stabilimento in Romania, dove insiste la gran parte della produzione; 108 esuberi a Montebelluna.

DUCATI ENERGIA: stabilimenti in India e Croazia.

BENETTON: stabilimenti in Croazia.

CALZEDONIA: stabilimenti in Bulgaria.

STEFANEL: stabilimenti in Croazia.

TELECOM ITALIA: call center in Albania, Tunisia, Romania, Turchia, per un totale di circa 600 lavoratori, mentre in Italia sono stati dichiarati negli ultimi tre anni oltre 9. 000 esuberi di personale.

WIND: call center in Romania e Albania tramite aziende in outsourcing, per un totale di circa 300 lavoratori. H 3 G: call center in Albania, Romania e Tunisia tramite aziende in outsourcing, per un totale di circa 400 lavoratori impiegati.

VODAFONE: call center in Romania tramite aziende di outsourcing, per un totale di circa 300 lavoratori impiegati.

SKY ITALIA: call center in Albania tramite aziende di outsourcing, per un totale di circa 250 lavoratori impiegati. Nell’ultimo anno sono stati circa 5. 000 i posti di lavoro perduti solamente nei call center che operano nel settore delle telecomunicazioni, tra licenziamenti e cassa integrazione

Miracolo a Gorgonzola, Sorisole e Carugate!

di Jacopo Fo  - Il Fatto Quotidino
 
Non è vero che in Italia non funziona niente: non si vuol parlare di quel che funziona benissimo!

Molti compagni ce l’hanno a morte col PD, l’accusa è di essere uguali al PDL. A leggere i giornali sembra che abbiano ragione.
Io non sono del PD ma penso che comunque esista un altro PD, praticamente clandestino. Un PD censurato da tutti i media. Censurato perfino dai vertici del PD. Un PD fatto da gente che ci crede. Un PD che ha un programma per far uscire l’Italia dalla crisi. E lo stesso si può dire per gli altri partiti del centrosinistra.
Esiste tutto un mondo di amministratori che hanno messo in pratica idee semplici che funzionano.

Ci sono i Comuni Virtuosi di cui ho parlato spesso, ma ci sono anche altre realtà molto importanti e innovative.
Qualche settimana fa è venuto ad Alcatraz Nicola Bombardieri, assessore al territorio del comune di Sorisole (Bergamo) che mi ha raccontato una storia che in Italia pare incredibile. Hanno realizzato un progetto di recupero di una grande area utilizzata in passato da Italcementi come cava di argille speciali.
Tutto è nato da un corso per amministratori pubblici organizzato dalla Lega delle Autonomie Locali all’interno della fiera “Fa’ la cosa giusta” (Terre di Mezzo).
Visto che l’area da recuperare è confinante con il Parco dei Colli hanno pensato di sviluppare un progetto che potesse integrarsi con questo parco. Così, invece di incassare subito un po’ di denaro concedendo la costruzione di un nuovo centro commerciale (ce ne sono già abbastanza e non danno grandi ricadute positive sul territorio), hanno progettato, con l’architetto Simonetta Armoni del Politecnico di Milano, 200 studenti universitari, e il cofinanziamento di Cariplo, la realizzazione di un ecovillaggio (in parte abitazioni protette per anziani), di un centro ricerche sulle tecniche ecologiche di costruzione, una serie di spazi all’aperto dedicati al benessere, agli anziani e ai bambini, e la gestione di un laghetto a scopo ricreativo.
Inoltre hanno previsto la costruzione di un mercato delle eccellenze alimentari gestito insieme ai coltivatori della zona: antiche ricette, sementi dimenticate. Infine hanno elaborato una ristrutturazione della viabilità dell’area, risolvendo problemi di traffico con interventi a costo bassissimo. Sono riusciti a razionalizzare i percorsi con due semplici sensi unici… L’uovo di Colombo… Molti vantaggi a un costo irrisorio.

Incuriosito da questa storia ho telefonato a Angela Fioroni animatrice della Lega delle Autonomie Locali (
www.lombardia.legautonomie.it).
E scopro che questa associazione, che mi era totalmente sconosciuta, esiste addirittura dal 1916 e fu fondata dal lungimirante Giacomo Matteotti, che venne poi assassinato dai fascisti.
Questa associazione ha lo scopo di aiutare i comuni a sviluppare i loro progetti nel modo più razionale. E riunisce quasi 2.000 Comuni che pagano una tassa di iscrizione di 12 centesimi per ogni abitante. Con questi soldi l’associazione realizza un servizio di consulenza tecnico burocratica e finanzia la progettazione di interventi come quello di Sorisole.
Fioroni mi spiega: ”Possiamo uscire dalla crisi cercando un nuovo modello di sviluppo, offrendo più servizi a minor costo grazie alla rivoluzione digitale ed energetica. Il nostro scopo è creare Isole Ambientali, capaci di dimostrare che è possibile percorrere questa strada con successo.”

Non potrei essere più d’accordo. E allora mi faccio raccontare qualche esempio. E scopro che Carugate è una cittadina modello. Hanno realizzato l’isolamento dei tetti e delle pareti delle strutture comunali, installato finestre con tripli vetri, sostituito i sistemi di riscaldamento tradizionale con caldaie a condensazione, montato pannelli solari ovunque possibile, eccetera… Hanno anche convinto i supermercati a installare pannelli, tetti verdi, usare di più la luce solare.
Ma c’è anche l’inarrestabile Gorgonzola dove oltre a un progetto di trigenerazione (tecnologia che produce al contempo elettricità, caldo o freddo) hanno realizzato un servizio gratuito per le famiglie di analisi dei consumi energetici delle abitazioni, che evidenzia il vantaggio economico che si potrebbe ottenere isolandole meglio. Hanno poi attivato una serie di sistemi di incentivazione e assistenza per aiutare le famiglie a realizzare le eco-migliorie necessarie.
E ci sono molti altri progetti che la Lega delle Autonomie Locali sta supportando: Vivere meglio a Caselle Lurani, sulla legalità a Corsico, a Gazzada riduzione dei rifiuti, a Cernusco sul Naviglio efficienza energetica.
E c’è anche una scuola per giovani amministratori del PD della Lombardia (vogliono formare una nuova classe dirigente). Presenteranno questi progetti alla prossima fiera Fa’ la cosa giusta… Ma tutto questo Bersani non lo sa…

sabato 25 febbraio 2012

Ministro Clini: Il Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua ha ragione


acquaDopo più di un’ora di occupazione della sede del Ministero dell’Ambiente, il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua ha ottenuto l’incontro con il Ministro dell’Ambiente C.  Clini.

Al Ministro sono state poste alcune precise richieste in merito ai referendum sull’acqua dello scorso giugno e al rispetto degli esiti dello stesso, sia in riferimento alla gestione pubblica e partecipativa dell’acqua, sia riguardo all’abrogazione dalla tariffa pagata dai cittadini della quota relativa alla “remunerazione del capitale investito”, ovvero i profitti del gestore.

Al termine del confronto, il Ministro Clini – dichiarandosi d’accordo con le richieste poste dai movimenti per l’acqua – ha preso i seguenti specifici impegni:


a) *l’invio in giornata di una nota all’Autorità dell’Energia e Gas e a tutte le istituzioni competentI, al fine di precisare – nelle more dell’approvazione di qualsivoglia nuova norma in merito – l’inesigibilità da parte dei soggetti gestori della quota di tariffa relativa all’adeguata remunerazione del capitale investito;* 
b) *l’inserimento, all’interno delle Linee Guida del DPCM di trasferimento delle funzioni all’Autorità dell’Energia e Gas, di una precisa indicazione per il rispetto dell’esito referendario in materia tariffaria sull’acqua;*

c)* l’immediato avvio di un percorso di confronto con il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua in merito alle proposte relative al finanziamento del servizio idrico, con la prossima convocazione di un incontro congiunto con il Ministero dello Sviluppo Economico.*

Il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, nell’esprimere soddisfazione per i risultati dell’incontro, vigilerà sul rispetto e la realizzazione degli impegni presi.
Le dichiarazioni di Clini su Twitter: https://twitter.com/#!/minambienteIT

La diretta dell’occupazione https://twitter.com/#!/AcquaBeneComune

USA-Italia, sistemi fiscali a confronto: vincono sempre i ricchi - di Stefano Rizzo, www.aprileonline.info


 






 Ci sono paesi dove le tasse si evadono e paesi dove le tasse non si pagano - semplicemente perché non ci sono. Lascio a voi pensare quali paesi appartengono alla prima categoria. Quanto alla seconda, i primi della lista (almeno tra le economie occidentali) sono gli Stati Uniti

Nel corso delle primarie repubblicane il milionario e candidato Mitt Romney, dopo lunghe reticenze, ha dovuto rendere pubblica la propria dichiarazione dei redditi: dalla quale emerge che su un reddito complessivo di 21,7 milioni di dollari nel 2010 ha pagato il 13,9 per cento di tasse. E non è il solo (naturalmente), ma neppure il più privilegiato.
Da un recente studio del "New York Times" emerge che dei 400 americani più ricchi (con un reddito medio di 270 milioni), 30 (i più ricchi) pagano appena il 10 per cento di tasse e il resto in media il 15 per cento.
Sulla carta il livello del prelievo fiscale americano non sarebbe scandalosamente basso, seppure molto inferiore a quello europeo. E' vero che lo scaglione più alto a livello federale è di "solo" il 35 per cento, ma a questo bisogna aggiungere il prelievo a livello statale (in media il 6 per cento) più un altro prelievo sulla busta paga per l'assistenza sociale di circa il 7 per cento, più naturalmente le altre tasse sulle proprietà e sulle vendite (sales tax) e la distinta tassazione sulle imprese. Questo sulla carta, perché di fatto la pressione fiscale del governo federale come percentuale del PIL non arriva al 15 per cento, il livello più basso da 60 anni a questa parte. Aggiungendo a questa percentuale tutte le altre tasse, statali e locali, si arriva a circa il 28 percento del PIL. Poca cosa rispetto alla maggior parte dei paesi europei, dove la media della pressione fiscale supera il 40 per cento del PIL.
Tuttavia, se si tenesse conto dell'evasione fiscale (che negli Stati Uniti è stimata a circa il 9 per cento, mentre in Italia è almeno quattro volte superiore), si scoprirebbe che il carico fiscale per abitante in America è di poco inferiore a quello in Italia! La pressione fiscale negli Stati Uniti è di circa 13.500 dollari a persona, mentre in Italia è di 15.500 dollari a persona dal momento che con una popolazione cinque volte quella italiana gli USA hanno un PIL sette volte superiore, ma se gli italiani evadessero il fisco al livello degli americani il divario di pressione fiscale pro capite -- ad aliquote invariate -- si ridurrebbe a meno del 10 per cento. Il che è un altro modo per dire che se in Italia si riducesse l'enorme evasione fiscale tutti potrebbero pagare meno tasse.
Il vero problema del sistema fiscale americano è che la stragrande maggioranza del prelievo si applica al reddito da lavoro (dipendente e autonomo - quello che viene chiamato "earned income", reddito guadagnato) e solo in minima parte agli altri redditi - capital gains, interessi, dividendi. Qui le cose vanno molto meglio per i ricchi e i superricchi. I quali traggono dal loro lavoro sotto forma di stipendi o consulenze solo una piccola percentuale del reddito (il 9 per cento), mentre il grosso è costituito da rendite finanziarie e da capitale, tassate rispettivamente al 4 e 17 per cento. Il risultato è che a pagare il grosso delle tasse sono i lavoratori dipendenti del ceto medio (i poveri e poverissimi sono per lo più esenti). Ma non va benissimo neppure per i benestanti che guadagnano parecchio con il loro lavoro (tra 250.000 e 500.000 dollari), dal momento che con il loro 20 per cento di dichiarazioni dei redditi costituiscono il 40 per cento di tutte le entrate fiscali.
Mancando all'appello (o presenti con una tassazione risibile) i redditi finanziari, la conseguenza è che non ci sono abbastanza soldi per le scuole, per i servizi sociali, per la sanità, che stati e governo federale sono costretti a tagliare licenziando il personale addetto. Per cui quegli stessi titolari di redditi medi, pur pagando relativamente poco al fisco, sono costretti a comprarsi sul mercato quelle cose che lo stato non è in grado di fornire: assistenza sanitaria, tasse universitarie, scuole decenti (per cui iscrivono i figli a costose scuole private). Quanto ai poveri e poverissimi, l'assistenza sociale li fa sopravvivere ... in un campo di container o in un ricovero pubblico.
E' bene ricordare che non è sempre stato così. Il codice fiscale federale del 1954 prevedeva una tassazione progressiva su tutti i redditi con scaglioni che arrivavano fino al 91 per cento per quelli al di sopra di 3.750.000 dollari (in valore attuale). E' così che gli Stati Uniti nel dopoguerra poterono finanziare un'imponente programma di investimenti nelle infrastrutture, nei servizi sociali e di aiuti all'istruzione superiore - creando un sistema di welfare paragonabile a quello che in quegli stessi anni si veniva costruendo in Europa. Ma questa "scandalosa" situazione di relativa (o tendenziale) equità non poteva durare: iniziò così a partire dalla fine degli anni '60 una martellante campagna per la riduzione delle tasse, naturalmente a favore dei più ricchi, che dopo qualche decennio ha portato alla situazione attuale nella quale l'aliquota più alta è stata ridotta dal 91 al 35 per cento per tutti i redditi superiori a 375.000 dollari.
Se a ciò si aggiunge che tre quarti e più del reddito dei molto ricchi è tassato a livelli risibili, si arriva al paradosso per cui "la segretaria di Warren Buffett paga più tasse (in percentuale) del suo datore di lavoro": lei complessivamente il 37 per cento, lui appena il 13. Da noi può succedere che l'impiegata della gioielleria guadagni più del gioielliere, che l'operaio della piccola impresa guadagni più del padrone, che l'insegnante di scuola guadagni molto più dell'avvocato, del medico e del notaio. E' diverso: qui in Italia si tratta di evasione illegale, negli Stati Uniti di evasione legalizzata. Ma a ben pensarci, è la stessa cosa.

L’esempio di Sandro Pertini

Ventidue anni fa ci lasciava “il Presidente”, Sandro Pertini. Partigiano, strenuo difensore dei diritti civili e della Costituzione, rimane indubbiamente il ricordo più bello della vita politica italiana. Proprio per questo, oggi, in un periodo storico in cui sembrano prevalere l’ipocrisia e la spasmodica ricerca di impunità, parlare di lui sembra rincorrere un’utopia. Pensare che anche oggi, dopo vent’anni tra craxismo e berlusconismo, inciucismo e sfrenata volgarità politica, possa nascere un altro Pertini, sembra un’illusione. La subcultura imposta sin dai primi anni novanta, della quale il Paese paga oggi il prezzo più salato, sarà difficile da estirpare. Ma io voglio credere che si possa fare. Ho conosciuto tantissimi giovani durante il mio percorso e credo profondamente in loro.
Parlare di Sandro Pertini alle nuove generazioni potrebbe essere un esercizio fondamentale per tornare a credere in questo Paese, e io, che ogni giorno mi ispiro alla sua storia e al suo pensiero, lo faccio sempre. Raccontare le sue scelte, i suoi sacrifici, la sua sincerità e il suo evidente amore per l’Italia: questo sì, potrebbe convincere i ragazzi a fare politica con onestà e coraggio, proprio come voleva e faceva il Presidente. Con le mani pulite.
Viene da chiedersi quale parlamentare italiano, oggi che ci prepariamo ad assistere ad una potenziale disfatta della giustizia con la sentenza di Cassazione per il senatore Dell’Utri, deciderebbe, onestamente e coraggiosamente, di dissociarsi pubblicamente (e duramente) dalla propria madre che chiede la grazia. Pertini, condannato per aver combattuto il fascismo, in carcere con i suoi problemi di salute, dovette frenare lo sdegno nei confronti dell’amatissima madre che non aveva resistito alla tentazione di chiedere la sua scarcerazione.
La libertà, questo bene prezioso tanto caro agli uomini, diventa un sudicio straccio da gettar via, acquistato al prezzo di questo tradimento, che si è osato proporre a me”. Questo è ciò che scriveva Sandro Pertini, profondamente offeso da quel gesto. 
Così, invece, si dissociava ufficialmente dalla domanda di grazia: “La comunicazione che mia madre ha presentato domanda di grazia in mio favore mi umilia profondamente. Non mi associo dunque a simile domanda, perché sento che macchierei la mia fede politica, che più d’ogni cosa, della mia stessa vita, mi preme”. 
Oggi, invece, il parlamentare interrogato sui fondi distratti dal conto del suo ex partito risponde “mi servivano e li ho presi”. Qualche altro, lo stesso che il 9 marzo affronterà in Cassazione il processo per concorso esterno in associazione mafiosa, definisce il boss Vittorio Mangano “eroe”.
Allora io, ancora una volta e nell’anniversario della sua morte, faccio mio l’appello del Presidente ai giovani.

Malasanita' o massacro della sanita' pubblica?

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.radiocittaperta.it

di Bruno Giorgini

Di tanto in tanto scoppia uno scandalo di cosidetta malasanità, e ecco che si invocano i carabinieri, meglio i NAS, che sembrano più competenti e meno caramba. Ma siamo certi che i carabinieri siano la risposta giusta ai problemi degli ospedali e della sanità pubblica? Non ho mai saputo di un carabiniere che sappia operare o curare il cancro, col che gli scandali e le malversazioni come le sciatterie ci sono, eccome, però sono l’albero che in qualche modo nasconde la foresta, o, per dirla in altro modo, quando il saggio indica la luna con l’indice puntato lo stolto guarda il dito, e la luna non la vede. Racconterò adesso alcune storie che vengono dalla mia diretta esperienza acquisita frequentando un grande ospedale, il S. Orsola di Bologna. Un buon, se non ottimo, ospedale nonché clinica universitaria, con alcuni reparti di eccellenza, tanto è vero che ospita pazienti provenienti da tutta Italia. Uno dei reparti migliori è certamente quello di chirurgia d’urgenza, e anche uno dei più trafficati. Allora il medico, un bravo chirurgo, ti disegna la road map per così dire: lei viene lunedì in day hospital, facciamo tutte le analisi, quindi martedì la operiamo al mattino presto e alla sera va a casa, se tutto va come deve. In fondo è una operazione urgente ma non troppo difficile.

Poi però succede che il day hospital non è come una volta, dove stavi in una stanza con letto e tutto, e ti chiamavano dai vari reparti d’analisi quando era il tuo turno; no, adesso caracolli da un corridoio all’altro, mescolato a tutti in file interminabili e con i tuoi risultati sottobraccio alla fine della giornata ti avvii al reparto. Dove però il tuo posto letto è già stato riempito da qualcuno più urgente, quindi tornerai il venerdì successivo. Perché i posti letto sono stati ridotti, così come le stanze per day hospital, e lo stesso vale per il numero di infermieri, di medici, di macchine per le analisi, in genere delicate e quindi soggette a guasti nonché bisognose di manutenzioni frequenti, ma ormai spesso non ce le si può permettere, le manutenzioni regolari. Come convenuto il disciplinato paziente arriva di venerdì alle ore sette del mattino, ma il letto non c’è, non per cattiva volontà, perché sono pochi i letti. Quindi fino a oltre mezzogiorno il paziente ormai spazientito aspetta in sala d’attesa, e verso le due finalmente comincia l’iter che lo porterà in sala operatoria. E poi passa la notte in reparto quando l’ospedale si spopola, anche qui c’è una terribile mancanza di personale, rarissime infermiere, nessun medico. I medici di guardia per esempio, specie il sabato e domenica sono giovani senza esperienza e pagati a gettone, credo 150 euro a notte. Il chirurgo, che è bravissimo e di chiara fama, opera a volte ininterrottamente da sei a otto ore, cose semplici, cose difficilissime, pensateci: otto ore col bisturi in mano in un lavoro di grande grandissima responsabilità. Quando esce è stanco, irritabile, con poco tempo per occuparsi dei malati, rincuorarli, ascoltarli, assisterli. Il nostro paziente protagonista ha misurato anno per anno i guasti dovuti alle drastiche riduzioni di bilancio, e il tentativo assurdo di trattare la salute come un business, come un affare. Dal 2004, anno in cui per la prima volta ci mise piede, a oggi, avendolo frequentato anche una volta al mese e più durante lunghi periodi. Laddove c’erano due infermiere/i adesso ce ne è uno/a, laddove c’erano due macchine terapeutiche adesso ce ne è una, laddove c’erano due medici esperti adesso ce ne è uno coadiuvato, quando va bene, da uno/a specializzando/a, laddove facevi quattro chiacchiere, altamente terapeutiche sottolineo, adesso è tanto se ti saluti e chiedi notizie della famiglia, se per una analisi attendevi in fila un paio d’ore, adesso se ne vanno tre se non più, tutti sono più nervosi, pazienti e operatori sanitari, meno educati, meno attenti, più stanchi, più frustrati. E il nostro protagonista sta nella corsia privilegiata, si fa per dire, dei “grandi” malati, per cui le analisi di controllo sono prenotate con mesi d’anticipo, e ormai conoscendo tutti è diventato abile a aggirare gli ostacoli burocratico amministrativi.

Già perché se i bilanci diminuiscono, se i medici diminuiscono, se gli infermieri/e diminuiscono, se i letti diminuiscono, eccetera però la burocrazia cresce, e cresce l’ossessione del controllo, ovvero il sistema perde intelligenza e umanità terapeutica, diventando più ottuso e sempre meno esperto in medicina, ma sempre più competente e vessatorio in amministrazione. Allora la vera domanda non attiene la malasanità, ma fin quando si potrà tagliare la sanità pubblica, trattandola come una azienda dedita al profitto e non alla salute, senza che alla fine la cosidetta malasanità permei e contamini tutto l’insieme, anche ospedali ottimi come il S. Orsola di Bologna, dove il personale in genere è appassionato e competente. Senza dimenticare che accentuando i carichi di lavoro in modo ormai vicino al limite, aumenta la probabilità d’errore, dopo una certa soglia in modo esponenziale, e se un fornaio sbaglia al massimo brucia una infornata di pane, ma se un chirurgo sbaglia in sala operatoria ne va di mezzo la vita di un essere umano. Aumenta la probabilità d’errore e diminuisce la possibilità di aggiornamento, di studio, di sperimentazione delle nuove tecniche terapeutiche. Sono per esempio state fatte al S. Orsola invenzioni che hanno permesso di curare tumori molto aggressivi, e che vanno coltivate, estese, insegnate, ma se tempo non ne hai perché sei in reparto dalla sette del mattino alle sette di sera, quel sapere si corrode e viene disperso, è un capitale di vite umane salvate e da salvare che, in nome del profitto e dell’austerità, rischi di indebolirsi fortemente, se non annichilirsi.

Allora così stando le cose, i cittadini devono non tanto prendersela con medici e personale sanitario chiamando magari i carabinieri o minacciando denunce a destra e a manca, ma insieme ai medici e al personale sanitario, impegnarsi a monitorare il degrado prodotto dai tagli alla sanità pubblica,e ancor più il degrado mentale e di comportamento e di organizzazione, prodotto da una concezione che misura l’efficienza del sistema sanitario dal profitto e dai conti in danaro, e non in salute pubblica e individuale. Gli ospedali pubblici italiani sono un bene pubblico, un bene dei cittadini, uno dei più preziosi. C’è chi li vuole affossare e impoverire, sia dal punto di vista dell’ospitalità che della cura che della ricerca scientifica, facendone sostanzialmente dei luoghi di assistenza per i poveri secondo il modello USA, e per capirlo basta guardare come la troika di BCE, UE, FMI, sta devastando la sanità in Grecia. Vogliono affossare e svilire gli ospedali pubblici per avere campo libero al guadagno sulla pelle dei malati, la cosa più ignobile, e sta a noi cittadini difenderli, e anzi accrescerli.

Chissà se il senatore Marino PD, col suo collega del PDL, quando hanno scoperto e giustamente denunciato il caso romano della signora abbandonata legata su una lettiga per giorni, si sono ricordati di quante volte loro, o comunque i loro gruppi, hanno votato a favore dei tagli alla sanità pubblica, in nome, va da sé, della salvezza nazionale del profitto e del debito, chiedendosi magari se non ci fosse anche una loro responsabilità come parlamentari della Repubblica per lo stato attuale degli ospedali pubblici.

Altro che NAS, qua ci vogliono medici, infermieri, tecnologie, corsi d’aggiornamento, stanze belle e ampie, rapporti distesi nel tempo tra malati e terapeuti, una politica di cura attenta, a cui partecipino e su cui possano metter bocca i cittadini, quotidianamente. Altrimenti cari concittadini, la malasanità tra un po’ ci parrà un scherzo, in pochi pochissimi anni il degrado sta già mordendo i garretti di strutture d’eccellenza. Giova saperlo ora per intraprendere azioni efficaci di contrasto, invece di lamentarsene lanciando alti scandalizzati lai dopo, quando il male, il degrado, si sarà propagato a rischio di diventare inestirpabile. Insomma va capito, e detto, anzi urlato, che la sanità è un terreno di cui vogliono appropriarsi le potenti multinazionali e corporations del settore, uno di quelli che assicura i profitti più alti, e facili, tutti prima o poi in ospedale finiscono, e sulla salute non lesinano, la salute è una merce che si vende sempre. Se glielo permetteremo.