mercoledì 16 luglio 2014

I democratici che affossano la democrazia

Quando le istituzioni si mettono completamente al servizio del mercato e le parole perdono qualunqueaderenza con la realtà
10464311_10152702671737985_8284626381358622378_n In fondo, basta chiamarsi “democratici” o “partito democratico” ed avere un leader dalle spalle larghe e giovane d’età, dalla battuta pronta, apparentemente simpatico e una controriforma costituzionale che impoverisce le pietre angolari del sistema di garanzia dei diritti e di equilibrio dei poteri dello Stato fa il suo ingresso nell’aula del Senato senza nemmeno troppo clamore, salvo l’allarme lanciato da eminenti giuristi come Gustavo Zagrebelski e Stefano Rodotà. Matteo Renzi e il suo PD, infatti, hanno costruito un impianto armonico nel destrutturare la democrazia repubblicana. E non si tratta di una semplice affermazione critica dettata da chi è da sempre critico verso la deriva centrista e liberale del partito fondato da Walter Veltroni unendo cattolici e socialdemocratici. Si tratta di una considerazione oggettiva che non può essere smentita se non da fatti uguali e contrari al contempo.
Renzi progetta un esecutivo che può gestire la vita parlamentare a suon di disegni di legge prodotti in gran quantità e approvati sicuramente da una maggioranza favorevole al governo vista la legge elettorale che continua ad essere uno degli assi portanti di questo pacchetto di riforme costituzionali: dove un soggetto politico o una coalizione che non raggiunge il 37% può, nel turno di ballottaggio con la seconda coalizione per numero di voti, alla fine governare col 55% dei seggi della sola camera rimasta; dove chi prende meno voti ha più seggi e chi prende nel complesso più voti e ha meno seggi; dove chi fa parte di una coalizione ma non supera il 4,5% è automaticamente escluso da qualunque processo decisionale e dove, aspetto ancora peggiore, chi dissente nelle commissioni parlamentari viene sostituito a discrezione del premier, dove tutto questo accade se non proprio di cesarismo o di bonapartismo si può parlare, almeno si può certamente definire il tutto come una pesante regressione dei principi di garanzia costituzionali che hanno fondato la Repubblica Italiana.
La chiameranno quarta repubblica magari giornalisticamente parlando. I numeri si sprecano, le parole hanno perso il loro primigenio e naturale significato, decontestualizzate e abusate in ogni dove…
La potranno chiamare come vorranno, ma sarà sempre e solo un capovolgimento dell’equilibrio dei poteri che, nonostante tutto, sino ad oggi ha garantito all’imperfetto Stato italiano, alla claudicante forma repubblicana una vita, una sopravvivenza in mezzo ai tanti, ai troppi tentativi di riformarla a seconda delle esigenze dei potenti del momento, sia politici che economici.
L’Europa chiede stabilità economica sorretta da una altrettanto garantita stabilità politica e per questo la riforma comincia a mettere un po’ tutti d’accordo, anche tra i contraenti del famoso “patto del Nazareno”.
E non scandalizza più nulla, nemmeno la reintroduzione delle liste bloccate di nomi dei candidati alla sola Camera dei Deputati: sarebbe incostituzionale secondo la sentenza ultima della Consulta che ha decretato il ritorno ad una legge elettorale di stampo fortemente proporzionale. Ma tant’è, Renzi va veloce, Renzi il “piè veloce” che non si cura delle critiche e che prosegue per la via del deperimento della democrazia.
Naturalmente tutto questo viene presentato come “aderente” allo spirito della Costituzione e dei fondamenti della storia repubblicana d’Italia. La senatrice Finocchiaro ha ampollosamente descritto la riforma con un anfitrionico e persino soffocante linguaggio barocco, metaforizzando ad ogni sillaba pronunciata, elargendo agli ascoltatori di radio, tv e Internet quello che sarebbe lo spirito che uniforma il pacchetto di riforme.
Niente di più lontano dal vero. Di vero c’è soltanto che quello che non era riuscito a fare Silvio Berlusconi con metodi più grossolani, riesce oggi a farlo non la sinistra (come viene impropriamente definito il PD e chi gli sta intorno), ma un settore politico ormai completamente prono agli interessi di mercati che stanno annientando il potere di acquisto di milioni e milioni di cittadini che sono oltre la soglia di povertà.
Se si guarda il progetto di riforme dentro il contesto sociale drammatico che costringe all’esilio molti giovani e costringe al disgregamento dei progetti di vita per altrettanti che sono addirittura oltre i cinquant’anni di età, si comprende come la vittoria della finanza internazionale sia forte e si sia imposta sulle singole economie nazionali, facendo compiere delle torsioni autoritarie nei vari paesi d’Europa.
Anche sotto i revanchismi nazionalisti come quello francese di Marine Le Pen, in fondo, c’è la volontà di stabilizzare una situazione che potrebbe altrimenti essere presa in mano dalle sinistre e quindi trasformata in occasione di conflitto sociale.
Si vuole evitare il conflitto, la lotta di classe: si danno prima 80 euro, che convertiti in moneta d’un tempo somigliano molto ai trenta denari dei sacerdoti del tempio di Gerusalemme,  e poi si porta avanti un disegno di riduzione degli spazi di delega, di democrazia.
E, ripensateci ancora, tutto questo lo fa un partito che pretende di chiamarsi “democratico”. Quando le parole non hanno proprio più aderenza con la realtà

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