lunedì 29 febbraio 2016

Tim, da aprile torna lo scatto alla risposta e raddoppiano i costi delle chiamate fisse

Tim, da aprile torna lo scatto alla risposta e raddoppiano i costi delle chiamate fisse

Tra un mese il prezzo delle chiamate a consumo verso telefoni fissi e cellulari dell’offerta Voce e della linea Isdn aumenterà da 10 a 20 cent al minuto e sarà anche previsto uno scatto alla risposta di 20 centesimi. "Tim obbliga i clienti a passare al contratto Tutto Voce", denunciano le associazioni dei consumatori

sabato 27 febbraio 2016

Elezioni comunali: il doppio paradosso di Milano

Scrivevamo della surreale situazione di Milano che si ritrova ad avere tre candidati sindaci pressochè identici giusto qualche tempo fa.
Andando a scavare, in realtà non sono proprio identici. Uno è un po’ più “di sinistra” – se proprio vogliamo usare questa categoria – degli altri. Ed è Parisi, il candidato di centrodestra. Un passato nella Cgil, quota socialista, già manager della amministrazione milanese divenuto famoso per aver chiuso senza troppi conflitti un accordo con i lavoratori del Comune.
Di Sala si è detto tutto: ex manager Pirelli (di quelli che i lavoratori preferiscono prenderli a pedate piuttosto che ragionarci), poi in forze alla sindaca peggiore della storia milanese, quella Letizia Moratti catapultata da Berlusconi sulla poltrona di primo cittadino, e infine supermanager (circondato da persone finite sotto inchiesta o in galera) di quella Expo che oggi si ritrova con un buco di bilancio mostruoso nonostante avesse a disposizione contratti di lavoro particolarmente vantaggiosi per i lavoratori e uno stuolo di ragazzi che lavoravano addirittura gratis per la baracca. E questo è il candidato di Centrosinistra, appoggiato pure da Sinistra Ecologia e Libertà.
La quale Sel, e qui sta il secondo paradosso, ha un candidato (ancora non ufficiale ma i bookmakers hanno chiuso le quote) che però non appoggerà, perché sta da un’altra parte: con quei pezzi di Milano civica, democratica e di sinistra che sostengono il progetto “Milano in Comune”. È Curzio Maltese, che fa parte, sia pure come osservatore, della segreteria nazionale del partito che fu di Nichi Vendola.
Milano è sempre stata un laboratorio per la politica, città anticipatrice di tendenze non solo dalle parti di Montenapoleone ma anche da quelle di Palazzo Marino.
E se questa è la politica che ci aspetta per il futuro, siam messi proprio male.

venerdì 26 febbraio 2016

Il regime renziano? un po' "verdinoso"... di Giorgio Cremaschi

Il regime renziano? un po' "verdinoso"...

La situazione è drammatica, ma non seria, diceva in un suo celebre aforisma Ennio Flaiano. Definizione che si adatta perfettamente a ciò che fa e rappresenta Renzi. Stiamo entrando in una guerra folle, stiamo precipitando in una nuova recessione economica, ma la farsa politica domina la scena.
La questione di grande rilevanza etica delle unioni civili, ma già il termine usato al posto di matrimonio apriva la via alla malafede e al trasformismo, questa questione sulla quale avrebbero dovuto misurarsi alla luce del sole gli orientamenti dei partiti e dei parlamentari, da Renzi e Alfano è stata trasformata in un un Suk parlamentare.
A pensar male si fa peccato, ma ci si prende, diceva Andreotti; ed è difficile non credere che questo non fosse dall'inizio il disegno del presidente del consiglio. Che ha usato toccanti parole sul trionfo dell'amore per suggellare la sua unione politica con Verdini. Alla quale aspirava da tempo, per sopperire alla mancanza di solidarietà di una parte dei suoi e rafforzare la solidarietà massonica tra i suoi. Se ci ricordiamo il giusto scandalo dei mass media per gli Scilipoti e i Razzi quando passarono con Berlusconi, è ancora più scandaloso l'assordante silenzio attuale su una operazione di trasformismo ben più vasta ed inquietante. Il quotidiano ex indignato La Repubblica, ora targato Calabresi Marchionne, balbetta e si accoda. Il Corriere, come sempre nella sua storia. sta col governo. Non parliamo poi delle TV.
E che dire poi della patetica Cirinnà, che dopo aver detto tutto e il suo contrario, si rimangia l'annunciato ritiro dalla politica E poi ci sono i molti, non tutti per fortuna, esponenti di associazioni Lgbt, che dopo aver ruggito contro i M5S ora belano a Verdini. Che alla fine sta diventando il vero padre della patria. I suoi voti sono stati decisivi per la controriforma della Costituzione e ora egli si unisce civilmente e ufficialmente con la maggioranza Renzi Alfano. È la corruzione morale della politica eretta a sistema di governo. Berlusconi era un dilettante di fronte a Renzi. Grazie all'alunno di terza elementare che ha coniato un nuovo aggettivo sui fiori, possiamo anche noi esercitarci per definire questa materia schifosa.
Il regime renziano è "verdinoso".

giovedì 25 febbraio 2016

A Madrid sinistre e movimenti europei per il Piano B contro la «debitocrazia»

La riapertura di una dimensione europea dei conflitti e dei movimenti: questo l’obiettivo della tre giorni di assemblea a Madrid (19–21 febbraio), Plan B, contro l’austerità per una Europa democratica. Rimettere in movimento la sinistra europea, partendo da una agenda condivisa di mobilitazione, con un esplicito richiamo all’esperienza dei Forum sociali europei che iniziò a Firenze nel 2002.
Il documento conclusivo “chiama” anche una data di mobilitazione europea, il 28 maggio, data simbolica della Comune di Parigi.
La tre giorni ha nominato le proprie «genealogie» e insieme condiviso un posizionamento radicato nel tempo presente, nel pieno di questa crisi-ristrutturazione capitalistica: la scelta dello spazio europeo come terreno del conflitto.
L’idea di Europa, dunque, come oggetto di una lotta per l’egemonia: tra il neoliberismo che ha distrutto la vecchia Europa del welfare e la democrazia reale, il nuovo che può nascere dalla riapertura di un processo di politicizzazione di massa.
la-sinistra
Se l’Europa è oggi lo spazio in cui tradurre nel presente la «rivoluzione in Occidente», il nodo della costituzione di una forza politica europea che modifichi gli attuali rapporti di forza è ineludibile.
Non si può parlare di una democratizzazione dell’Europa senza la costituzione di un demos in una lotta di liberazione dall’austerità e dalla governance dell’Ue neoliberista e dei suoi dispositivi. Né si può sovrapporre il nodo del potere e dei poteri – di cui i popoli europei sono progressivamente espropriati – con quello del governo, a maggior ragione nell’epoca della fine del compromesso tra capitalismo e democrazia determinata dal neoliberismo, carta costituzionale di questa Ue e dei suoi piloti automatici.
Nodo spinoso per la sinistra europea, a partire dalla Grecia e dalla Spagna, e per la sinistra italiana, che ha già ampiamente sperimentato le conseguenze dell’essere sinistra di governo senza «il potere di cambiare».
La proposta politica di Madrid mette al centro la lotta alla austerità e alla «debitocrazia» (Eric Toussant e Zoe Kostantopoulou tra gli interventi): l’audit sul debito sperimentato in Grecia dalla commissione parlamentare non solo non va interrotto ma va esteso almeno ai paesi del Sud.
In sintesi, il documento conclusivo ribadisce l’illegittimità del debito e la necessità della sua ristrutturazione; propone la disobbedienza ai trattati e il rifiuto di altri «sacrifici per l’euro».
Centrali la connessione con la mobilitazione contro i trattati di commercio (Ttip, Tisa, Ceta), come hanno ribadito John Hillary e Susan George, e la necessità della lotta alla xenofobia istituzionale della fortezza Europa.
Finalmente in un incontro della sinistra europea la prospettiva femminista è stata fondativa (e non solo uno specifico), con una propria agenda e trasversale a tutti gli assi di lavoro: autodeterminazione e autogoverno, partire dai corpi e dalle città resilienti (presenti le esperienze di Barcellona in comune e Valencia) per disegnare un’altra Europa.
A Madrid c’erano esponenti del Gue e della Sinistra Europea, (tra gli altr@, di Izquierda Unida, Podemos, Linke, l’Altra Europa), di realtà di movimento (da Blockupy ad Attac), rappresentanti di municipalità, ricercator@, attivist@. Tra i principali protagonisti anche Yanis Varoufakis, col suo progetto DiEm, lanciato a Berlino lo scorso 9 febbraio. Non c’era invece Melenchon anche se non sono mancati contributi alla discussione a partire dal manifesto parigino.
A Madrid, dunque, si è aperto un percorso unitario dal basso, di convergenza e connessione di diversi percorsi attivi sullo scenario europeo, che intende territorializzarsi.
Credo sia fondamentale costruire un percorso di continuità anche in Italia. Se la sinistra italiana non vuole rinchiudersi in un partito centrato sullo spazio nazionale e senza una prospettiva chiara sull’Europa, raccogliere la sfida aperta a Madrid è di fondamentale importanza.
La costruzione di una soggettività dell’alternativa in Italia non può non assumere la prospettiva europea come fondativa e quindi l’alterità, la rottura con le forze che sostengono l’UE neoliberista, comprese il Pse e il Pd: una sfida questa alla base dell’esperienza dell’Altra Europa.
Una sinistra politica e sociale che si ponga realmente il problema del cambiamento non può relegare il nodo della efficacia nel mantra della sinistra di governo, ma deve riattivare quel processo di politicizzazione di massa di cui lo spazio europeo – e in particolar modo quello italiano – ha un disperato bisogno.
Unire e connettere le diverse forme del fare politica e del fare società oggi è una sfida che non ammette scorciatoie politiciste o fintamente innovative; ma il lavoro difficile di unire ciò che il neoliberismo ha diviso è l’unica alternativa all’Europa della barbarie neoliberista. Madrid chiama Roma, stay tuned.
di Eleonora Forenza, parlamentare europea del gruppo GUE/NGL

Madrid, Plan B: dichiarazione per una ribellione democratica in Europa


Madrid, Plan B: dichiarazione per una ribellione democratica in Europa
Pubblichiamo la dichiarazione finale della tre giorni di Madrid . Al meeting di Madrid hanno partecipato le compagne Eleonora Forenza e Roberta Fantozzi della segreteria nazionale PRC-SE.

Fin dall’inizio della crisi economica mondiale un nuovo movimento si è sviluppato in tutto il mondo.

Si tratta di un movimento per una democrazia reale, per la partecipazione e per il diritto delle persone di decidere di loro stesse, e perché i loro bisogni e la loro sovranità siano rispettati e possano incidere sulle decisioni politiche. Un movimento che si scontra con un sistema che favorisce una minoranza di privilegiati sulle spalle delle maggioranza. Un movimento che cerca di porre i diritti umani, civili, politici, economici, sociali, culturali e democratici nel cuore del progetto europeo, come elementi intrinsechi della democrazia.
Fin dal 2011, le piazze, le strade, i luoghi di lavoro di tutta Europa si sono trasformati nella culla di lotte democratiche per i diritti, lotte che hanno scosso il panorama politico e sociale e che continuano a farne parte.
Questi movimenti europei si sono scontrati frontalmente con l’insieme delle istituzioni e delle scelte politiche che costituiscono oggi l’Unione europea. La natura profondamente antidemocratica di queste istituzioni riflette la loro origine e il loro attuale obiettivo: servire gli interessi del settore industriale e finanziario e le diverse élite, diventate vere e proprie oligarchie.
Le istituzioni operano in modo oscuro e non trasparente, lontano dallo sguardo dei cittadini europei. Sono al servizio delle corporazioni e delle imprese finanziarie che dispiegano eserciti di lobbisti. Negoziano nuovi trattati a nome dei popoli dell’Europa, ma contro gli interessi di questi.
Vogliamo trasparenza e che sia fatta luce sulle modalità con cui si si prendono decisioni che riguardano la nostra vita.
Ci opponiamo alla affermazione irreale e irrazionale secondo cui l’Europa può pagare i suoi debiti pubblici e privati. Esigiamo audit civici sui debiti pubblici e riaffermiamo il diritto sovrano del popolo ad esaminare questi debiti e a rifiutarsi di pagare i debiti illegittimi e illegali.
La classe dirigente europea, le istituzioni di Bruxelles e Francoforte predicano l’austerità per la maggioranza mentre spendono miliardi per pochi.Non è solo la “austerità”: in Europa c’è una guerra, una lotta di classe, con il saccheggio dei diritti di cittadinanza e dei beni comuniche praticano le élite di governo, decise a consegnare i redditi e le ricchezze della maggioranza della società e gli stati stessi ai ricchi. Il loro modello è quello della disoccupazione di massa e della precarietà, della povertà, dell’aumento delle diseguaglianze, facendo contrapporre i lavoratori tra di loro, perpetuando la violenza contro le donne, strangolando l’ambiente e distruggendo il tessuto sociale. E’ un modello contro il benessere e la giustizia sociale.
La cosiddetta “Europa senza frontiere” sta erigendo muri e reticolati elettrificati dappertutto. Da Evros e Lesbo a Lampedusa, da Presevo a Calais. Esigiamo che lascino entrare i rifugiati e le rifugiate! Quando le gente fugge per salvare la propria vita, l’Europa deve semplicemente aprire le braccia, rifiutando con fermezza la xenofobia e il razzismo. La questione dei rifugiati è una questione umanitaria, rifiutiamo la militarizzazione, diciamo no alla NATO.
L’Europa deve ridurre drasticamente le spese per gli armamenti e per la difesa, che si sono dimostrati intimamente legati alla corruzione e all’indebitamento illegale, e deve aumentare le spese pubbliche per la sanità, la scuola, la sicurezza sociale, la giustizia e la cultura.
Il degrado delle condizioni di vita delle persone è anch’esso strettamente legato alla distruzione della natura e alla guerra per le risorse in tutto il mondo. Non possiamo non affrontare la crisi ecologica e energetica se vogliamo la giustizia sociale per tutti.
Di fronte all’attuale situazione europea, facciamo appello alla disobbedienza civile alle istituzioni europee, alle loro regole tossiche, alla loro politica, ai trattati e a tutti i loro diktat antidemocratici, alle mistificazioni delle élite governative.
Abbiamo bisogno di nuovi processi costituenti e del diritto all’autodeterminazione attraverso referendum vincolanti.
E affermiamo di dover disobbedire ai diktat antidemocratici anche quando si è al governo, come obbligo democratico minimale verso i popoli.
La Conferenza di Madrid ha costituito un passo avanti verso la unione dei differenti movimenti e nell’elaborazione di proposte di lotta per la democrazia in Europa. Invitiamo a leggere, diffondere e dibattere sulle conclusioni raggiunte sui differenti assi di discussione e a riprenderli nelle altre conferenze che si organizzeranno in giro per l’Europa.
I popoli europei sanno come ribellarsi alla tirannia. Nel corso della storia l’abbiamo fatto in molteplici occasioni per conquistare la democrazia, dare corpo alla uguaglianza, difendere le nostre vite, i diritti e la dignità.
La Conferenza Plan B di Madrid fa appello ad organizzare una Giornata europea di azione per il 28 maggio.

Basta guerra: il 12 marzo mobilitiamoci in tutto il paese

Basta guerra: il 12 marzo mobilitiamoci in tutto il paese

Il nostro paese è in guerra. Questo è il primo fatto chiaro che va denunciato e su cui vogliamo chiamare alla mobilitazione per rompere il muro di bugie della propaganda del circo mediatico di regime.
Siamo in guerra, assieme alla NATO e a tutto il cosiddetto Occidente, da 25 anni. Nonostante i milioni di morti, le devastazioni e le migrazioni bibliche provocate da questi interventi, il nostro come gli altri governi progettano e organizzano nuove imprese militari. Queste nuove imprese sono però inserite in un quadro diverso, nella Grande Crisi che attraversa il mondo da quasi dieci anni, nelle crescenti frizioni che questa crisi sta determinando tra poli e blocchi mondiali. Non sono più semplicemente guerre neocoloniali di espansione e stabilizzazione, ma si stanno trasformando in guerre di egemonia e sopravvivenza. In questo contesto, in questa competizione tra potenze, si determinano le guerre per procura successive alle primavere arabe: il massacro siriano, l’espansione dell’IS, la frammentazione della Libia, con i suoi fronti confusi e sempre in cambiamento.
La loro guerra, come dimostrano i fatti di Parigi, torna anche nelle nostre città, nelle nostre strade, nei nostri luoghi di ritrovo. Le loro guerre non solo producono miseria, morte e sconvolgimenti sociali che sono la causa dell'esodo migratorio, ma stanno rendendo l'Europa e il nostro paese una caserma autoritaria, dove gli spazi di libertà e di agibilità democratica vengono drasticamente ridotti. La Francia ha costituzionalizzato uno stato d'emergenza che colpisce libertà fondamentali, nate in quel paese. Paese ove ora per legge si toglie la cittadinanza a chi è accusato di terrorismo e ha origini etniche e religione diverse da quelle dei cittadini "puri". Torna in Europa così il razzismo di stato, mentre in Danimarca per legge si rapinano i profughi scesi dai barconi e la Svezia si prepara a espellere, cioè a deportare verso fame e morte, 80000 Migranti.
L'Unione Europea in guerra produce orrore e lo usa per giustificare sia la distruzione della democrazia sia le politiche di austerità. Si possono sforare i criminali vincoli del fiscal compact per comprare armi, ma non per costruire ospedali o scuole. UE e Nato, austerità e guerra sono oramai la stessa cosa.
Noi esprimiamo solidarietà e sostegno a tutti i popoli oppressi in lotta, a partire da quello curdo e palestinese, ma rifiutiamo la guerra e il coinvolgimento del nostro paese in essa.
Invece la decisione del governo Renzi di preparare e prima o poi fare la guerra in Libia ci espone a tutti i rischi terribili che abbiamo visto realizzarsi in altri paesi. Sempre più pesanti e costose sono le nostre missioni militari all'estero, da ultima quella di 1000 militari in Iraq, anche a protezione di affari privati. Intanto il nostro territorio viene militarizzato e avvelenato dagli strumenti di guerra. Si installano nuove terribili bombe termonucleari, si installano radar nocivi, si inquinano intere aree, si organizzano esercitazioni che mettono in prima linea intere città. Si comprano bombardieri e altre armi di distruzioni di massa mentre le si commercia in tutto il mondo.
Tutto il nostro paese è sempre più coinvolto nei danni, nei costi e nei nuovi crescenti rischi della guerra. Per questo bisogna mobilitarsi prima che si troppo tardi, per fermare la guerra e le politiche di distruzione della democrazia e dei diritti sociali che l'accompagnano. Bisogna farlo con tutta la forza e la determinazione possibile nel caso in cui l'Italia fosse per la quinta volta nella sua storia trascinata in una sciagurata guerra in Libia. Ma in ogni caso bisogna costruire una resistenza che risponda all'assuefazione alla guerra che ci stanno somministrando.
È necessaria una mobilitazione diffusa e permanente contro la guerra esterna e contro la guerra sociale interna che banche, multinazionali, interessi industrial militari vogliono imporci. Bisogna che l'Italia esca dalla NATO, alleanza che oggi non ha più alcuna giustificazione politica e morale.

Manifestiamo per:
- La fine immediata di ogni partecipazione italiana alle guerre in corso, con il ritiro delle truppe da esse e il ripristino dell'articolo 11 della Costituzione.
Lo smantellamento delle basi e delle servitù militari, il rispetto del trattato di non proliferazione nucleare, la fine del commercio delle armi.
L'uscita dell'Italia dalla Nato e da ogni alleanza di guerra. L'Italia deve diventare un paese neutrale per contribuire alla pace.
La fine delle politiche persecutorie e xenofobe contro i migranti.
La fine delle politiche di austerità e del sistema di potere UE che le impone.
La cancellazione delle leggi securitarie che in tutta Europa nel nome della guerra al terrorismo stanno costruendo uno stato di polizia.
IL 12 MARZO IN TUTTA ITALIA MANIFESTIAMO CONTRO LA GUERRA DI FRONTE ALLE BASI E ALLE SEDI DELLA GUERRA.
COORDINAMENTO CONTRO LA GUERRA, LE LEGGI DI GUERRA, LA NATO
PROMOTORI

Aldo Silvano Giai, Nicoletta Dosio, Fulvio Perini, Alberto Perino, Bianca Riva, Cellerina Cometto, Mira Mondo, Eugenio Cantore, Eleonora Cane, Claudio Cancelli, Valentina Cancelli, Domenico Bruno, Franco Olivero Fugera, Italo Di Sabato, Valentina Colletta, Emanuele D'Amico, Danilo Ruggieri, Manuela Palermi, Ernesto Screpanti, Nella Ginatempo, Fabio Frati, Fabrizio Tomaselli, Stefano Zai, Giorgio Cremaschi, Gianpietro Simonetto, Emiddia Papi, Mauro Casadio, Aldo Romaro, Paola Palmieri, Francesco Olivo, Michele Franco, Sergio Cararo, Luigi Marinelli, Franco Russo, Ugo Boghetta, Sandro Targetti, Leonardo Mazzei, Francesco Piccioni, Marco Santopadre, Selena Difrancescoantonio, Marco Tangocci, Giovanni Bacciardi, Vasapollo Luciano, Valter Lorenzi, Antonio Allegra, Dino Greco, Beppe Corioni, Moreno Pasquinelli, Guido Lutrario, Loretta Napoleoni, Gualtiero Alunni, Anastasi Dafne, Nico Vox, Carlo Formenti, Dario Filippini, Antonella Stirati, Maria Pia Zanni, Lorenzo Giustolisi, Sabino Derazza, Enzo Miccoli, Loredana Signorile, Mara Manzari, Roberto Vallocchia, Monica Natali, Luca Massimo Climati, Laura Scappaticci, Patrick Boylan, Sergio Bellavita, Ezio Gallori,

Movimento NO TAV, Piattaforma Sociale Eurostop, Unione sindacale di Base, Centro Sociale 28 Maggio Brescia, Ross@, Campagna Noi Restiamo, Fronte Popolare, Noi Saremo Tutto, City Strike Genova NST, Collettivo Putilov Firenze, Rete NoWar, Economia per i Cittadini, Contropiano, Partito Comunista d’Italia, Rifondazione comunista Molfetta, Programma 101, Rete dei Comunisti, Partito della Rifondazione Comunista, Partito Comunista dei Lavoratori, NO MUOS Milano, Comitato Difesa Sociale Cesena, Circolo Agorà di Pisa, Comitato No Guerra No NATO Brescia, Area Opposizione Cgil, Sinistra Anticapitalista, Carc,
Alcune organizzazioni hanno aderito alla giornata di mobilitazione sulla base di proprie piattaforme che verranno comunicate nei prossimi giorni assieme ad ulteriori adesioni.
Le iniziative in via di preparazione sono:
- Manifestazione davanti al cantiere TAV della Val Clarea (Chiomonte)
- Base militare di Ghedi a Brescia
- In Veneto l’iniziativa si terrà a Vicenza alla caserma Ederle
- A Bologna è previsto un corteo regionale
- Pisa si mobilita a Camp Derby
- A Roma è previsto un corteo cittadino
- Napoli: manifestazione alla base NATO di lago Patria, Giuliano

In Sicilia contro l’uso della base di Sigonella per le aggressioni militari e in Piemonte per Novara contro gli F35 si sta valutando la possibilità di organizzare altre mobilitazioni.
Le informazioni su altre iniziative verranno comunicate nei prossimi giorni

Esproprio totale di Ipazia

Esproprio totale
Dopo l'89, il capitale europeo decise: toglieremo uno dopo l'altro tutti i diritti dei lavoratori (tutele, welfare, sanità, pensioni). In cambio diremo loro di consolarsi con un po' di diritti civili, che in fondo non ci costano nulla.
Un esproprio mascherato da scambio, certo. Ma in Italia hanno deciso che non era il caso di concedere neanche quelli.
Non si sa mai

martedì 23 febbraio 2016

Sanità privata contro salute pubblica. E' il profitto, bellezza!

Sanità privata contro salute pubblica. E' il profitto, bellezza!
C'è ancora qualcuno, minimamente dotato di onestà intellettuale, che possa pensare che l'ennesima rapina consumata ai danni della salute pubblica in Lombardia, una regione il cui modello sanitario si vorrebbe esportare ovunque, sia opera di qualche mela marcia?
Centinaia di miliardi puntualmente sottratti alla sanità pubblica, decine di migliaia di posti letto tagliati e di servizi pubblici soppressi, Livelli Essenziali d'Assistenza (LEA) ridotti ai minimi termini con fette crescenti di prestazioni unicamente in mano ai privati, su tutte l'odontoiatria e la riabilitazione. Liste d'attesa alle calende greche e ticket proibitivi per spingere i cittadini nelle maglie della sanità privata.
La corruzione in sanità è un sistema collaudato il cui valore ha una quantificazione certa e per nulla scalfita da miracolose spending review o controlli di supereroi anticorruzione: 6 miliardi l'anno; il 5% della spesa sanitaria, il 10% del dato totale nazionale.
Un sistema trasversale, reso scientificamente possibile da leggi e modifiche costituzionali che hanno trasformato gli ospedali in aziende e la salute in merce sottoposta alle leggi di mercato, ai pareggi di bilancio, ad un federalismo selvaggio che ha minato alle fondamenta universalismo ed uguaglianza creando cittadini di serie A e cittadini di serie B.
Un sistema reso praticabile dalla commistione di una classe politica indecente e autoreferenziale e di una classe imprenditrice predatoria - con vaste incursioni della criminalità organizzata - che fanno degli appalti e delle esternalizzazioni dei servizi pubblici la loro fonte primaria di "sostentamento". Senza dimenticare il ruolo della banche, non solo quelle dei paradisi fiscali sempre pronte ad accogliere i proventi di queste rapine, ma anche quelle nostrane che negli anni hanno riversato migliaia di titoli tossici nella pancia di quelle regioni super indebitate e sottoposte a Piani di Rientro (su tutte il Lazio) ed il cui carico ricade totalmente sulle tasche di cittadini e lavoratori del settore. Perché sia chiaro che in questi anni il tributo più alto lo hanno pagato proprio i lavoratori e le lavoratrici della sanità con il peggioramento delle condizioni di lavoro, senza riposi e ferie, in carenza cronica di organico, con il licenziamento dei precari e i ricatti ai quali vengono continuamente sottoposti i lavoratori di ditte appaltate e cooperative, con l'aumento esponenziale di infortuni sul lavoro e malattie professionali, con la contrazione salariale oltre ogni limite. Penalizzati 2 volte, da cittadini e da lavoratori.
 
Santa Rita, San Raffaele, Maugeri, Israelitico, RSA, business di protesi difettose, tanto per rimanere agli ultimi squallidi esempi, è così difficile vedere che il problema non è la sostenibilità del servizio sanitario pubblico ma l'esistenza del privato nella gestione di un bene primario come la salute? La sanità privata è un ossimoro, un'anomalia da combattere e rigettare a convinto sostegno di un Servizio Sanitario Pubblico degno di questo nome che faccia della tutela della salute - dalla prevenzione alla riabilitazione, da una nascita sicura ad una morte dignitosa, dalla difesa dell'ambiente alla sicurezza nei luoghi di lavoro - un principio costituzionale irrinunciabile.
Diversamente c'è la barbarie, quella rappresentata da una cronaca ormai quotidiana.
Diversamente possiamo continuare a consolarci pensando che i dati dell'ultimo report dell'ISTAT che certifica 54.000 morti in più nel 2015 rispetto al 2014 e che trova un precedente così abnorme solo nel secondo dopoguerra, siano davvero la conseguenza di un'eccezionale ondata di caldo! Così come, evidentemente, quei 10 milioni di persone che non hanno più accesso alle cure per problemi economici e la diminuzione costante dell'aspettativa di vita sono conseguenza di un destino cinico e baro.
Come USB lunedì 22 febbraio manifesteremo, ancora, sotto il Pirellone per chiedere le dimissioni di Maroni, responsabile di una riforma sanitaria scritta a misura di corrotti e faccendieri, attualmente in carcere e agli arresti domiciliari; lo faremo a difesa della sanità pubblica, consapevoli di non essere sufficienti e che in assenza di una presa di parola, forte e collettiva, dei cittadini e dei lavoratori, finiremo per essere spettatori, più o meno indignati, del definitivo smantellamento di un pezzo fondamentale di welfare, la sanità. Pubblica!

lunedì 22 febbraio 2016

Finché i soldi fuoriescono dai bancomat!

climax
Il Climax del Capitalismo- Breve sintesi della dinamica storica della crisi -di Robert Kurz

Nella crisi, ci troviamo già dopo la crisi. E' questo il messaggio proveniente dal pensiero positivo a partire dal collasso di Lehman Brothers. Perché mai il più grande crollo finanziario mai avvenuto dopo gli anni 1930 avrebbe dovuto spingere ad una qualche sorta di riflessione sulla teoria della crisi? A volte si sale, a volte si scende. Tutto si trasforma, in un modo o nell'altro: ma soltanto così tutto rimane sempre uguale. Le crisi vanno e vengono, ma il capitalismo resta per sempre. Perciò non ci interessa la crisi in sé, ma soltanto quello che viene dopo, quando la crisi finisce, come tutte le noiose crisi precedenti. Chi andrà su e chi scenderà nella nuova era? Finalmente arriverà il miracolo economico africano, sarà il turno del Pacifico con la Cina come nuova potenza mondiale, o ci sarà la rinascita degli Stati Uniti dello spirito del piccolo imprenditore? Forse assisteremo ad una rinata lira che assurge a moneta di riserva? Anything goes. Ebbene, occorre svolgere un'analisi un po' coraggiosa delle tendenze, visto che i mercati finanziari, da parte loro, tornano a farsi arroganti e vomitano nuvole di cenere, come fa l'Etna nei suoi giorni migliori.
Nessuno vuole più sapere niente del contesto storico relativo allo sviluppo capitalista: felice è colui che dimentica. Non si deve nemmeno pensare che nel 1982, con la prima insolvenza da parte del Messico, aveva potuto avere inizio un ciclo di crisi qualitativamente nuovo, che dura fino ad oggi, e che avanza dalla periferia verso il centro, divorando tutto quello che incontra sul suo cammino. La struttura della percezione postmoderna esclude qualsiasi punto di vista che va oltre quella che è la tendenza del momento. Quel che Marx aveva definito, nella prefazione al primo volume del Capitale, come condizione per la conoscenza nella teoria sociale, ossia la "capacità di astrazione", gode oramai da tempo della cattiva fama di essenzialismo. La micro-economia che domina il discorso non riconosce più alcuna società, ma soltanto gli individui, come diceva Margaret Thatcher. Laddove tutto è economia, anche la relazione con il proprio Io, lo spazio ed il tempo sono ridotti all'orizzonte del click del mouse e dell'esperienza dello shopping. Non si deve parlare del Tutto negativo, di modo che esso possa rimanere nella più amabile invisibilità. Molti di quelli che mettono la testa nella sabbia eventualmente chiedono: quale fallimento della Lehman Brothers? E' successo prima o dopo la prima guerra mondiale? Chi si muove nello spazio mediatico, soltanto fra eventi disconnessi, senza coscienza né del passato né del futuro, riesce a rimuovere la crisi perfino dal pensiero, fino a quando i soldi continuano a fuoriuscire dal bancomat.
Ma a poco a poco la faccenda comincia a puzzare di bruciato, cosicché anche il valore di intrattenimento degli analizzatori di tendenze in quanto aruspici comincia a crollare, Nel nuovo secolo, sembra che la crisi sia venuta per rimanere. Ad una recessione, e ad un falso fine allarme, ne segue un'altra, mentre i guardiani del sistema bancario globale vorrebbero contare i loro scheletri nell'armadio e soprattutto buttar via la chiave. Nemmeno lo sciovinismo esportatore tedesco è del tutto sicuro che la Germania stia giocando davvero da sola, in un campionato del tutto diverso da quello del resto della zona Euro. Nessuno sa sotto quale tetto scoppierà l'incendio domani, o più tardi. Ma tutti sanno che il fuoco è in agguato ovunque e che gli incendi sono collegati fra loro in maniera misteriosa. La fondamentale fiducia postmoderna nel capitalismo si sfalda, anche se vergognarsene per ora non è diventato il tema centrale.
Perfino la sinistra foucaultiana comincia a rendersi conto di capire di economia politica quanto Karl Marx capiva di motociclismo. Perciò la crisi, nonostante tutto, deve portare il discorso su un terreno che finora è stato accusato di essere "economicista", e fondamentalmente evitato. Cosa sta succedendo allora con il capitalismo? Purtroppo, Marx non ci ha lasciato una comoda teoria della crisi sotto forma di libro tascabile. La pressione ad aderire alla perdita decostruttivista della realtà e alla riscoperta, a buon mercato, dell'economia volgare conduce, nella migliore delle ipotesi, a cercare versioni alquanto superficiali della tradizioni marxista.
Secondo tali versioni, di quando in quando il capitale entra in una fase di cosiddetta sovraccumulazione. Gran parte del capitale accumulato non riesce a continuare a valorizzarsi a sufficienza, dal momento che il plusvalore prodotto non può più essere trasformato nella sua forma denaro, ovvero "realizzato", a causa della mancanza di potere d'acquisto da parte della società. Gli investimenti in macchinari ed in forza lavoro sono stati troppo elevati per quella che è la capacità del mercato, c'è un eccesso di capacità di produzione, dappertutto ci sono merci invendibili, il capitale denaro fugge verso i mercati finanziari dove si formano così delle bolle. Il capitale eccedente, in tutte le sue componenti (capitale reale, forza lavoro, capitale merce, capitale denaro), deve ora essere svalorizzato dalla crisi. Dopo di che tutto può ricominciare dal principio.

Per la perniciosa ideologia postmoderna, questa versione è quella più gustosa. Dal momento che qui la crisi nasce come un evento astorico, in un eterno ritorno dello stesso. Di modo che, di tanto in tanto un aggiustamento fa bene al capitalismo, come una bella sudata. La crisi fa parte del suo meraviglioso modo di funzionamento, come sa da molto tempo la sinistra illuminata. Espansione e contrazione si alternano in una successione infinita, senza che si possa riconoscere un processo coerente e progressivo.
Ma in Marx si trovano anche riflessioni del tutto differenti. Secondo le quali, sul lungo termine, il problema non è l'insufficienza periodica della realizzazione di plusvalore sul mercato, bensì, assai più fondamentalmente, la mancanza stessa della sua produzione. Il capitale è l'autocontraddizione in processo in quanto, da una parte, ha come unico obiettivo l'accumulazione incessante di valore, ovvero "ricchezza astratta" (Marx), ma, dall'altro lato, la concorrenza obbliga, attraverso lo sviluppo delle forze produttive, a rendere superflua la forza lavoro, la quale è l'unica fonte di questo valore, e a sostituirla con dispositivi tecno-scientifici.
Tuttavia, lo sviluppo delle forze produttive non è l'eterno ritorno dello stesso, bensì un processo storico irreversibile. Come mostra Marx nei Grundrisse, questo porta ad una situazione in cui i prodotti sono di fatto beni utili, ma non possono più rappresentare nella merce una quantità sufficiente di energia lavorativa umana. Questo non è un aggiustamento, ma un "limite interno" (Marx) del capitale. Quest'aspetto della teoria di Marx era inaccettabile per il marxismo tradizionale, dal momento che ciò che ad esso importava era la "pianificazione del valore" e non la sua abolizione. Per una coscienza che ignora completamente la storia e non riesce a formulare un qualsivoglia concetto del valore, ma che va a sbirciare un evento dopo l'altro e gli piacerebbe convincersi che la coazione all'autovalorizzazione sia una libertà senza limiti, tano meno è possibile pensare ad un limite oggettivo per questa forma di esistenza.
Ora, il capitale non dipende semplicemente soltanto dal valore, ma anche dal plusvalore, prodotto dalla forza lavoro al di là dei suoi propri costi. Lo stesso sviluppo delle forze produttive che rende la forza lavoro sempre più superflua svaluta il costo della forza lavoro ancora utilizzata. Così, aumenta la quota parte di plus valore rispetto al tempo di lavoro totale speso. Ma la massa di plusvalore della società dipende non solo dalla sua quota parte per lavoratore, ma anche dal numero di lavoratori utilizzabili ad un determinato standard di produttività.
Marx ha formulato questo problema nel terzo volume del Capitale, come teoria della caduta tendenziale del saggio di profitto. La parte di capitale reale nel capitale denaro aumenta continuamente, mentre continuamente diminuisce anche la forza lavoro mobilitabile per mezzo di esso. Questo può essere letto indirettamente nelle statistiche borghesi, nel fatto che storicamente i costi preliminari di un posto di lavoro sono aumentati in maniera inesorabile, in quanto per poter impiegare un lavoratore dev'essere utilizzato un aggregato sempre maggiore di macchinari, di infrastrutture, ecc.. Dal momento che solo la forza lavoro produce nuovo valore, il profitto medio del capitale denaro anticipato deve abbassarsi su scala sociale, sebbene aumenti la quota parte di plusvalore nella produzione di valore per ciascun lavoratore.
Il risultato sociale dipende dalla relazione di grandezza di due tendenze opposte. Insieme alla teoria di una svalorizzazione storica fondamentale, che si legge nei Grundrisse, l'argomentazione qui svolta contraddice talmente la comprensione astorica del capitale visto come eterno alternarsi fra espansione e contrazione che la nuovissima Nuova Lettura di Marx, per precauzione, ha dichiarato che la caduta tendenziale del saggio di profitto sia solo un semplice prodotto dell'immaginazione di Marx.
Di fatto, la caduta del saggio di profitto può essere compensata fino ad un certo punto dall'aumento della massa di profitto, se il modo di produzione capitalista come tale si espande e viene quindi applicato produttivamente più capitale denaro. Esternamente, quest'espansione si è esaurita con la "valorizzazione" di tutto lo spazio terrestre. Ci sono diversi concetti di espansione interna qualitativa, e sono tutti riferiti all'economista borghese  Joseph A. Schumpeter. Questi descrive lo sviluppo  capitalista come creazione periodica di nuovi prodotti e rami produttivi. Di conseguenza, l'espansione viene supportata da alcuni cicli di prodotti, fino a quando questi entrano in stagnazione e imprenditori innovativi vi pongono fine per mezzo di nuovi prodotti per nuove necessità. Nella fase della "distruzione creativa" avviene la contrazione. Il nuovo ciclo di prodotti diventa sostenibile solo gradualmente, e può cominciare l'espansione rinnovata su una base modificata.
La teoria di Schumpeter ha il piccolo difetto estetico di non relazionarsi in alcun modo con il contesto dello sviluppo delle forze produttive e con la produzione sostanziale di plusvalore. Così come in tutta l'economia politica, si considera la superficie del mercato come l'unico oggetto valido della scienza economica. E' in questo modo che la creazione di nuovi rami di produzione e di nuove necessità emerge automaticamente come base della ripresa capitalista, senza che nemmeno venga posta la questione delle condizioni concrete della valorizzazione attraverso la sostanza lavoro, in uno standard modificato di produttività. E' proprio per questo che la sinistra postmodernizzata raccoglie con così tanto gusto l'idea di Schumpeter ed i relativi teoremi, per completare Marx per mezzo di un po' di belletto anti-sostanzialista. Nuovi rami di produzione, nuovo successo della valorizzazione, poi la massa di energia lavorativa spesa possibilmente non svolgerà alcun ruolo troppo importante, se in quattro e quattr'otto si potrà fare download di soldi così come lo si può fare di tutto il resto. Si potrà poi scegliere se l'area di attività per il prossimo boom verrà creata adesso attraverso produzione di mostri di ingegneria genetica, o di reti di amici su Internet, o di biocombustili piuttosto che attraverso produzione di pane per il mondo o attraverso il salvataggio degli orsi polari.
Nella corrente sotterranea delle argomentazioni di Marx, le cose si presentano in maniera diversa. Quale che sia il contenuto della produzione, al capitale interessa solamente la quantità di forza lavoro creatrice di valore che può essere utilizzata. Questa deve crescere in termini assoluti, se si vuole che il fine in sé dell'accumulazione venga raggiunto. Ora, la creazione di nuovi rami di produzione, o l'ingresso nella produzione di massa di prodotti che prima erano di lusso, può compensare la razionalizzazione tecnologico-scientifica della forza lavoro solo per un periodo di tempo storicamente limitato. Il capitalismo raggiunge il suo culmine quando l'espansione interna viene raggiunta e superata per mezzo dello sviluppo delle forze produttive. Mentre la caduta relativa del tasso di profitto si trasforma in una caduta assoluta della massa sociale di plusvalore e quindi di profitto, mandando a sbattere così la valorizzazione del valore presunta come eterna contro la sua svalorizzazione storica.
Si può produrre qualche prova di come lo sviluppo capitalista sia entrato in questo stato a partire dagli anni 1980, con la terza rivoluzione industriale. Il culminare della contraddizione interna viene modificato e filtrato per mezzo dell'espansione storica del sistema creditizio, che riflette in maniera speculare la stagnazione ed il declino di massa del lavoro produttore di valore. Già il permanente aumento relativo del capitale reale aveva progressivamente spinto i costi morti anticipati fino ad un'altezza tale che questi costi potevano essere finanziati dai profitti correnti solamente per una parte sempre più ridotta. Il credito si è trasformato da elemento propulsore coadiuvante la produzione di plusvalore nel suo sostituto. L'accumulazione è alimentata da allora sempre meno dalla sostanza del valore reale e sempre più dall'anticipazione di lavoro immaginario futuro. Investimenti e posti di lavoro senza alcuna base reale, vengono finanziati per mezzo di un debito globale senza precedenti e delle bolle finanziarie che ne derivano. Questa è stata anche la condizione della possibilità sociale per un il trionfo delle ideologie virtualiste e decostruzioniste. Tuttavia, nonostante le apparenze temporanee, non si accumula capitale, come si è visto nell'industria delle costruzioni di molti paesi, dopo lo scoppio delle bolle immobiliari.
Alla superficie del mercato mondiale, il consumo sempre più anticipato di profitti e salari futuri ha assunto la forma assurda di una divisione di funzioni fra paesi in surplus e paesi in deficit. Gli uni comprano dagli altri, con denaro proveniente da entrate future, merci la cui produzione è stata finanziata attraverso il ricorso ad entrate future. Si apre un buco nero, che si allarga, fra la creazione passata di valore reale e una creazione futura, anticipata in maniera fittizia. Questo costrutto di una situazione globale di deficit avviene in due principali aeree: una maggiore, il circuito del deficit del Pacifico, fra Cina/Asia Orientale e Stati Uniti, e un altro, minore, in Europa, fra la Germania ed il resto dell'Unione Europea, o meglio della Zona Euro. L'occupazione così mobilitata, ad esempio in Cina, è altrettanto impraticabile di quanto lo sia stata l'attività di costruzione a seguito del boom immobiliare. In un caso, l'Asia ha accumulato riserve di valuta in dollari ad un ordine di grandezza astronomica, nell'altro caso, il sistema bancario internazionale aveva finanziato deficit altrettanto elevati dentro la zona monetaria comune. Questi famigerati "squilibri" sono incompatibili perfino con i manuali di Economia Politica che, in ogni caso, nessuno ha mai preso sul serio.
Dopo un susseguirsi ravvicinato di crisi finanziarie, che negli ultimi trent'anni hanno colpito paesi e settori economici isolati, il crollo finanziario del 2008 ha assunto, per la prima volta, una dimensione globale. La rottura delle catene di credito ha messo all'ordine del giorno il grande scoppio della svalorizzazione. Gli Stati, già di per sé altamente indebitati, hanno fermato la valanga per mezzo di iniezioni magiche di credito addizionale ed emissione monetaria. Si è immaginato, quanto meno, che non ci si trovava alla fine di una tempesta purificatrice, ma che erano le luci del capitale mondiale che si trovavano sul punto di spegnersi. Così, con l'aiuto delle garanzie degli Stati, i crediti in sofferenza vennero interrati come fossero scorie nucleari, le capacità industriali eccedenti vennero mantenute per mezzo di enormi sovvenzioni, e la congiuntura economica venne alimentata artificialmente con programmi statali. In particolare, il capitalismo di Stato cinese forzò il suo sistema bancario, basato su un patrimonio di debito, a finanziare investimenti rovinosi, sotto forma di città fantasma, aeroporti fantasma, fabbriche fantasma, ecc., gonfiando così la madre di tutte le bolle finanziarie.

Con tutte queste misure avventuriste non è stato risolto assolutamente niente, il processo di svalorizzazione è stato solo rimandato e si dislocato sugli Stati il problema del mercato finanziario. Era prevedibile che la boccata d'aria dei programmi statali si sarebbe esaurita rapidamente. E' cominciato nella Zona Euro, in quanto anello più debole della catena, ma anche tutte le altre finanze statali oscillano e corrono il rischio di innescare reazioni a catena. Così, la montagna di dollari cinesi si dissolverà in fumo, se gli Stati Uniti finiranno per ammettere che non hanno un soldo. I debiti pubblici ingestibili si assommano ai crediti inesigibili dei mercati finanziari: si avvicina la fusione nucleare del sistema creditizio. Il futuro del capitalismo, oramai consumato, è diventato il presente. La Grecia mostra in maniera esemplare come le persone debbano smettere di vivere per anni per poter continuare a soddisfare i criteri capitalistici.
Nel momento in cui l'emissione monetaria non si limita più a rinviare la svalorizzazione dei titoli di debito, ma va ad alimentare direttamente la congiuntura economica per mezzo di denaro senza sostanza attraverso la simulazione del credito, lo stesso mezzo del denaro in sé si svalorizza. Anche l'inflazione ha un percorso storico preliminare. Se era quasi sconosciuta dall'industrializzazione alla prima guerra mondiale, le economie di guerra potevano essere finanziate solo attraverso l'emissione monetaria, irregolare in termini capitalistici. Ma dopo la guerra mondiale, il fantasma dell'inflazione divenne il compagno costante del capitalismo, dal momento che i sistema di credito espanso divenne costitutivo anche per la produzione ordinaria di merci. Oggi, i pacchetti di salvataggio hanno già superato le dimensioni dell'economia di guerra e l'inondazione diretta di denaro da parte delle banche centrali si rivela essere l'ultima risorsa. Perfino una riforma monetaria radicale, che annullasse tutti i patrimoni e i crediti, non porterebbe ad un punto zero e ad un nuovo inizio. In quanto l'aggregato di conoscenza della società, che non permette più una produzione sufficiente di plusvalore, è ineludibile. La svalorizzazione continuerà a ripetersi, solo che lo farà ad intervalli più brevi.
Avvenga quel che viene. Nonostante tutto la coscienza da esperienza mediatica non vorrebbe perder tempo con fastidiose realtà. La fine del mondo, annunciata dal calendario Maya per il 2012, è più un motivo di svago. L'importante è che la carta di credito non venga annullata. Anche per tutta la sinistra postmoderna, riconvertita alla socialdemocrazia, è più facile immaginare un capitalismo senza mondo che un mondo senza capitalismo. L'autodecostruzione finale viene definita come un assunto eccitante. Non succede tutti i giorni che uno possa permettersi un simile lusso.

- Robert Kurz - Pubblicato sulla rivista Konkret del 02/2012 -
fonte: EXIT!

Le slide che Renzi non vi farà vedere sui due anni di governo


Ci sono delle slide che Renzi - in occasione dei due anni dall'insediamento del suo governo (22 gennaio 2014) - non vi farà certamente vedere. Sono le slide che testimoniano la crisi del paese e l'inefficacia delle politiche del suo governo.

Un paese che non esce dalle difficoltà sociali e dalla drammatica mancanza di lavoro e che assiste al degrado del suo sistema sanitario e scolastico. Quello che non mancano sono la propaganda e gli spot di un governo che non riesce a far uscire dalla stagnazione l'economia nazionale (che sopravvive grazie agli aiuti esterni del calo del prezzo del petrolio e del quantitative easing di Draghi), che continua a regalare inutilmente una barca di soldi alle imprese e che ne spende tanti per le armi. Un governo che non ha riformato il mercato del lavoro, ma ha creato un inedito "mercato dei lavoratori", senza diritti e sotto ricatto.

Visto che Renzi queste slide non ve le farà vedere, ve le proponiamo noi.


Renzi dice che ha rafforzato in questi due anni gli investimenti per la scuola e la sanità. Fantasie. Con l'ex sindaco di Firenze a Palazzo Chigi, la spesa pubblica per l'istruzione (in percentuale sul PIL) è passata dal 3,9% al 3,7% (e intanto si riducono le iscrizioni
 
all'università)
e quella per la salute dal 7% al 6,8%. Renzi dice che ha fatto crescere nel 2016 di un miliardo gli stanziamenti per la sanità. Non è vero. La (sua) ministra Beatrice Lorenzin il 14 luglio del 2014 (c'era Renzi, allora, no?) firma a nome del governo il Patto della Salute con le regioni che prevede l'ammontare della spesa pubblica per la sanità nel 2016 (con la crescita di fabbisogni e l'evoluzione naturale dei costi) a 115,4 miliardi. E quanto c'è nella legge di stabilità del 2016? Solo 111 miliardi, cioè oltre 4 miliardi in meno.
Dice Renzi che ha fatto tanto per il sociale. Ma per il servizio civile (così importante per il nostro welfare) nel 2016 ha stanziato 215 milioni a fronte dei 300 milioni spesi nel 2015: significa 10mila giovani in meno per quest'anno.
 
Ma non lesina i soldi per gli F35. Due anni fa nella legge di stabilità i fondi per gli F35 erano 500 milioni, mentre nel 2016 quasi 750 milioni: +50%. Un aumento percentuale così alto il "sociale" se lo sogna. Renzi davanti agli Scout a San Rossore aveva detto: "'La più grande arma per costruire la pace non sono gli
Eurofighter o gli F35, ma la scuola. Quando fai delle spese che sono inutili, per il gusto di buttare via i soldi, ti senti piangere il cuore". Solo chiacchiere: invece diminuiscono i soldi per la scuola e aumentano quelli per gli F35.

Ma a questo governo mancano i fondamentali dell'economia. Anche queste slide Renzi non ve le farà vedere. Intanto il debito pubblico negli anni del renzismo (nonostante i tagli drammatici agli enti locali e alla sanità) aumenta di ben quattro punti percentuali (siamo al 132,5%).
 
E poi diminuiscono negli ultimi anni -e radicalmente- sia gli investimenti pubblici (che sono quelli che servirebbero per far ripartire l'economia), sia gli investimenti privati (quelli privilegiati dal governo, subalterno all'ideologia neoliberista), nonostante la valanga di soldi e di sgravi dati da Renzi a Confindustria e alle imprese private nelle ultime due leggi di stabilità.

Ci sono altre slide che Renzi non vi farà vedere e sono quelle che riguardano le tasse. Pavoneggiandosi come Giulio Tremonti (il taglio delle tasse era il suo pallino fisso), il nostro premier ha detto che questo è il primo governo che riduce le tasse, come quelle sulla casa (anche ai privilegiati e a chi non ne avrebbe bisogno). Peccato che l'ultimo DEF (Documento di Economia e Finanza) ci dica che la pressione fiscale nei due anni del suo governo sia passata dal 43,4% al 44,1% e che la Corte dei Conti ci informi che la pressione fiscale locale (a causa dei tagli del governo agli enti locali, che si vedono costretti ad alzare la tassazione locale per continuare ad erogare i servizi) è salita di oltre il 20%.
Gli 80 euro vengono confermati, ma non per i precari, i disoccupati e i pensionati al minimo. Con una mano ti danno e con l'altra ti tolgono (di più).
Delle tasse Renzi comunque le ha tagliate: quelle sui panfili e mega yacht. Voi continuere a pagare la tassa di proprietà sulla vostra utilitaria e i ricconi non pagheranno un'ero di tassa sul loro panfilo da due milioni di euro. Quando si dice: l'equità fiscale!

E poi c'è il lavoro. I dati di questi mesi sono contrastanti, ma quello che è certo è che molti dei nuovi contratti sono precari e sostitutivi (per avere le agevolazioni della decontribuzione) di quelli precedenti. Non sono più di 186mila i contratti a tempo indeterminato nuovi con il cui costo (circa 1,8 miliardi) si sarebbero creati molti posti in più se ci fosse stato un vero piano del lavoro, come da noi proposto. Ma una slide che Renzi non vi fa vedere, ve la mostriamo noi. Nel gennaio del 2015 le ore di cassa di integrazione erano state 50milioni e nel gennaio 2016 quasi 57milioni (dati INPS): testimonianza che le fabbriche continuano a chiudere e gli operai a perdere il lavoro. Anche di più di un anno fa.
Guardatevi le nostre slide e capirete che quelle di Renzi sono in parte sbagliate o furbescamente artefatte, mentre molte altre mancano del tutto. Dalle slide di Renzi emerge molta propaganda e marketing. Ma questo paese ha bisogno di cambiare rotta, di abbandonare le politiche neoliberiste dell'austerità e di mettere al centro il lavoro, i diritti e la giustizia sociale. Proprio quello che Renzi e il Pd non fanno: anzi fanno il contrario. È un cattivo compleanno questo del governo. Speriamo sia l'ultimo.


domenica 21 febbraio 2016

Il governo Renzi e le lavoratrici e i lavoratori pubblici


Il punto su… Il governo Renzi e le lavoratrici e i lavoratori pubblici


di Roberta Fantozzi -
area lavoro e economia – segreteria nazionale PRC

Da settimane il governo Renzi e i principali mezzi di comunicazione portano avanti una campagna violenta contro le lavoratrici e i lavoratori pubblici, accusati in sostanza di essere tutti nullafacenti, come se ospedali, scuole,  enti locali, biblioteche  e il resto del comparto pubblico funzionassero da soli.
Nessuno come è ovvio difende i comportamenti fraudolenti di chi fa timbrare il cartellino da altri. Ma quei comportamenti erano già perseguibili e passibili di licenziamento a normativa vigente, come dimostrano gli stessi casi di Sanremo e Tolmezzo, senza che ci fosse nessun bisogno di intervenire con nuove norme.
Il decreto del governo e la crociata mediatica continuamente alimentata hanno dunque altri scopi. Servono per “giustificare” agli occhi dell’opinione pubblica la politica di tagli e privatizzazioni  dei servizi, blocco della contrattazione e del turn- over, che il governo porta avanti e di cui è emblematica la Legge di Stabilità per il 2016.

Il contesto è infatti quello di politiche che mentre distribuiscono una gran quantità di risorse ai ceti abbienti e alle imprese (dall’eliminazione della Tasi-Imu sugli immobili di pregio, alle modifiche dell’Irap, alla decontribuzione, alla riduzione prevista dell’Ires, ai super-ammortamenti…) continuano a tagliare pesantemente sui servizi e sul comparto pubblico.

La Legge di Stabilità 2016 mette in campo oltre 8 miliardi di tagli tanto nel 2016 che nel  2017 e oltre 10 miliardi nel 2018, prevalentemente concentrati su sanità, regioni e settore pubblico in generale.  Sono tagli che si aggiungono a quelli delle manovre precedenti, mentre le clausole di salvaguardia impongono per il 2017 e 2018 di reperire rispettivamente altri 15,1 e 19,6 miliardi, che la stessa Legge indica debbano venire dall’ulteriore riduzione di tutto ciò che è servizio o patrimonio pubblico.

Sblocca Italia, Legge di stabilità 2015 e il recente decreto sulle partecipate, rappresentano i tasselli della strategia messa in campo dal governo per la privatizzazione e finanziarizzazione accelerata dei servizi pubblici locali, con pesantissimi impatti sull’occupazione. Mentre il dimezzamento del personale di Province e aree metropolitane, renderà impossibile garantire servizi fondamentali, dall’edilizia scolastica all’ambiente, dalla viabilità ai trasporti.

Non è un caso che la stessa Corte dei Conti abbia denunciato che siamo ormai a operazioni “di contrazione, se non di soppressione, di prestazioni rese alla collettività”, intervenendo con un linguaggio quanto mai esplicito a sottolineare la gravità dell’attacco messo in campo dal governo al welfare e alla funzione pubblica in quanto tale.

Demistifichiamo i luoghi comuni sul lavoro pubblico.
Se questa situazione rende necessario il contrasto all’impianto complessivo delle politiche del governo, è parte di essa la demistificazione dei tanti luoghi comuni sul lavoro pubblico.

*Il blocco della contrattazione che dura ormai da 6 anni ha comportato una perdita della retribuzione media di circa 600 euro nel 2014 rispetto a quella del 2011. In alcuni comparti in cui le retribuzioni sono tra le più basse, come quello delle Regioni ed Autonomie Locali, la perdita è superiore, di 652 euro. I dati sono quelli ufficiali della Ragioneria Generale dello Stato (Ragioneria Generale dello Stato, ANALISI DI ALCUNI DATI DEL CONTO ANNUALE DEL PERIODO 2007-2014, pagina 69, tabella 6.9 http://www.rgs.mef.gov.it/_Documenti/VERSIONE-I/e-GOVERNME1/SICO/Conto-annu/2014/Comunicazione-2016-01-15/ANALISI_DATI_2007-2014.pdf ).
Come è noto la Legge di Stabilità per il 2016, nonostante la sentenza della Corte Costituzionale, ha stanziato per il “rinnovo” del contratto 219 milioni di euro per 1,3 milioni di lavoratori contrattualizzati a livello centrale (circa 12 euro mensili lorde di incremento), 81 milioni di euro per i 500.000 lavoratori del comparto sicurezza, mentre per altri 1,2 milioni di lavoratori le risorse per il “rinnovo” contrattuale sono in carico alle singole amministrazioni.

*Il numero delle lavoratrici e dei lavoratori pubblici è nettamente inferiore a quello dei principali paesi europei. Nel 2013 l’Italia aveva 5,5 dipendenti pubblici ogni 100 abitanti contro gli 8,5 della Francia, gli 8,3 della Gran Bretagna, i 5,6 della Germania, per non parlare della Svezia con i suoi 13,5 dipendenti ogni 100 abitanti.
In termini assoluti questo significa ad esempio che la Gran Bretagna con una popolazione nel 2013 di poco superiore a quella Italiana (64 milioni contro i 61 dell’Italia) aveva 5,3 milioni di dipendenti pubblici, 2 milioni in più rispetto ai 3,3 milioni dell’Italia. La vulgata di un settore pubblico ipertrofico è totalmente falsa. Anni di politiche di esternalizzazione dei servizi con cui si sono spesso finanziate clientele, si sono compressi i diritti dei lavoratori e peggiorato la qualità dei servizi, hanno portato ad un settore pubblico nettamente sottodimensionato. Con una grave compromissione della quantità e qualità dei servizi, a rischio in molti settori.
Anche in questo caso si tratta dei dati ufficiali della Ragioneria Generale dello Stato (Ragioneria Generale dello Stato LA SPESA PER REDDITI DA LAVORO DIPENDENTE: CONFRONTO TRA GERMANIA, FRANCIA, ITALIA, REGNO UNITO E SPAGNA, pagina 8 tabella 4.5 http://www.contoannuale.tesoro.it/portal/samples/images/CONFRONTI%20INTERNAZIONALI.pdf )

La Legge di Stabilità per il 2016 a fronte di pochissime e settoriali assunzioni prevede un nuovo blocco del turn-over. Per le amministrazioni dello Stato, le agenzie, gli enti di ricerca, le regioni e gli enti locali, le assunzioni a tempo indeterminato possono avvenire solo entro la misura del 25% del budget derivante dalle cessazioni di personale con la medesima qualifica avvenute nell’anno precedente. La norma è sospesa per regioni ed enti locali per 2017 e 2018 per riassorbire il personale delle province, ma la nuova stretta è pesantissima.  I “risparmi” complessivi previsti per il blocco del turn over, vanno dai 44 milioni del 2016 a quasi 1 miliardo (919 milioni) nel 2019, 3 volte quanto stanziato per il “rinnovo” del contratto.
Come sottolineava il dossier del servizio studi del Senato “andrebbero richieste adeguate rassicurazioni in merito alla effettiva e piena sostenibilità dell’irrigidimento del blocco parziale del turn over, dal momento che negli anni più recenti le amministrazioni hanno subito già un blocco drastico dei reclutamenti che potrebbe averle già messe nella condizione di non poter assicurare i livelli minimi di servizio.” Va ricordato anche che dal 1 gennaio 2017 non sono più attivabili contratti di collaborazione e che nel 2018 scadranno i circa 80.000 contatti a tempo determinato di durata ultratriennale.

*Le lavoratrici e i lavoratori pubblici hanno inoltre un’età media particolarmente elevata. Nel 2014 è di 49,2 anni, sei anni in più che nel 2001, con la previsione che si innalzi ancora di più ed arrivi nel 2019 a 53,2 anni. Questo a causa del blocco del turn-over e del contemporaneo innalzamento dell’età pensionabile determinato dalla controriforma delle pensioni. Ai giovani è in sostanza precluso l’accesso alla Pubblica Amministrazione (Ragioneria Generale dello Stato, ANALISI DI ALCUNI DATI DEL CONTO ANNUALE DEL PERIODO 2007-2014, pagina 80 tabella 7.1 http://www.rgs.mef.gov.it/_Documenti/VERSIONE-I/e-GOVERNME1/SICO/Conto-annu/2014/Comunicazione-2016-01-15/ANALISI_DATI_2007-2014.pdf ).

*Le lavoratrici e i lavoratori pubblici costano ai cittadini italiani meno della media europea e molto meno che nei principali paesi europei. Nel 2015 la spesa procapite annua per le lavoratrici e i lavoratori pubblici in Italia è più bassa della media dell’Europa a 28 di 217 euro, di 81 euro rispetto ala Germania, di 974 euro rispetto a quella della Gran Bretagna, e di 1539 euro rispetto a quella della Francia. Questo nonostante l’età elevata e dunque carriere lavorative lunghe siano un fattore di oggettivo incremento dei costi. (Ragioneria Generale dello Stato LA SPESA PER REDDITI DA LAVORO DIPENDENTE: CONFRONTO TRA GERMANIA, FRANCIA, ITALIA, REGNO UNITO E SPAGNA Pagina 7 tabella 4.1 http://www.contoannuale.tesoro.it/portal/samples/images/CONFRONTI%20INTERNAZIONALI.pdf )

Una campagna rivolta alle lavoratrici e ai lavoratori pubblici
Il volantino allegato vuole essere uno strumento per parlare innanzitutto alle lavoratrici e ai lavoratori pubblici, da far girare sul web e da distribuire nei luoghi di lavoro, per ricostruire un intervento continuativo.
E’ del tutto evidente infatti che se la violenza dell’attacco contro i dipendenti pubblici ha lo scopo di legittimare le operazioni del governo di distruzione dei servizi, quella campagna produce anche una colpevolizzazione delle lavoratrici e lavoratori pubblici, che oscillano tra rabbia e impotenza. La ricostruzione di quello che davvero avviene oggi nel lavoro pubblico è condizione per poter difendere le lavoratrici e i lavoratori, e al tempo stesso i servizi e i diritti per tutti i cittadini.