venerdì 3 marzo 2017

L’Ottobre sta arrivando.


Da settimane sui muri di alcune città italiane campeggiano dei manifesti che annunciano l’arrivo dell’Ottobre. Un riferimento immediato per ogni comunista, un messaggio più criptico per la maggioranza della classe che ha visto recisa ogni connessione, anche sentimentale, con la rivoluzione bolscevica. Ed è proprio da qui che, insieme ad altri compagni e ad altre organizzazioni politiche, siamo voluti ripartire. Con una campagna politica che metta al centro della discussione l’attualità e l’inattualità della rivoluzione bolscevica e la necessità di ritornare a pensare la trasformazione radicale dei rapporti di produzione. Ma che al tempo stesso sappia giocare sul piano sul piano dei simboli, della comunicazione e dell’immaginario. Senza nessun cedimento al nostalgismo o alla celebrazione liturgica, perché la testa dei rivoluzionari non è mai rivolta all’indietro. Domani, al Sally, nel pub più bolscevico di Roma, ci sarà la prima presentazione cittadina. E chi non viene è un menscevico!
 
L’Ottobre sta arrivando…
Appello per la costruzione di una campagna politica per il centenario dell’Ottobre
Preambolo
Quest’anno, come noto, cadrà l’anniversario del centenario della Rivoluzione d’Ottobre. Pensiamo che le celebrazioni fini a se stesse, come tutti i rituali privi di una forza vitale capace di renderli attuali, restino lettera morta e non abbiano alcun significato per chi si ponga come obiettivo la trasformazione rivoluzionaria dell’esistente. Tuttavia siamo convinti che il centenario offra un’occasione importante a chi, come noi, riconosce nel marxismo lo strumento politico fondamentale e nell’esperienza bolscevica, concretizzatasi nella rivoluzione del 1917, una tappa centrale della storia del movimento comunista. Senza aprire una corposa parentesi sul ruolo della memoria nella costruzione delle identità politiche e sulle battaglie ideologiche che inevitabilmente la costruzione della memoria scatena, è facile immaginarsi come il centenario dell’Ottobre susciterà interventi e iniziative da parte di tutte le forze e le correnti politiche. Certamente l’obiettivo ideologico centrale per i nostri nemici – borghesia imperialista insieme a tutti i suoi portaborse opportunisti – sarà quello di dichiarare l’anacronismo scientificamente sancito, la morte, senza resurrezione possibile, dell’idea di rivoluzione politica comunista. Ma non è difficile prevedere come anche nel campo della sinistra il 2017 sarà l’anno degli eventi, dei convegni, delle mostre, delle pubblicazioni legati alla Rivoluzione d’Ottobre. Un appuntamento a cui bene o male tutti sentiranno il bisogno di partecipare e in cui tutti sentiranno il bisogno d’intervenire. Il rischio che percepiamo è che in questo modo l’Ottobre rischierà di essere trasformato in un mito in fondo tranquillizzante e riducibile alle logiche evenemenziali dell’odierna società social, perdendo così qualsiasi mordente politico, qualsiasi attualità. In tal caso, insieme alla materialità della storia, si espellerà il nocciolo dell’esperienza dell’Ottobre: l’assalto al cielo. La rivoluzione d’Ottobre è stata tale in quanto è culminata con la presa del Palazzo d’Inverno: ossia con la presa del potere politico. Per questo, dunque, una “nostra” campagna politica sull’Ottobre è quanto mai urgente e necessaria, tanto quanto occorre riportare al centro del dibattito l’attualità della rivoluzione e del comunismo. Per certi versi, la recente scomparsa di Fidel ha messo in luce quanto ancora lo spettro comunista riesca a suscitare il latrato degli sciacalli e l’orgoglio e la speranza dei subalterni. L’attenzione mediatica e la contrapposizione politica che la scomparsa del Lider Maximo ha generato, rafforza l’indicazione della strada che occorre percorrere. La questione cui rispondere è dunque: come rendere una campagna sull’Ottobre politica ossia veramente attuale, come sfuggire alle retoriche celebrative e al rischio di ricadere nell’innocuo e impolitico novero dei nostalgici?
L’Ottobre e Noi: attualità e inattualità.
Essere comunisti, vuol dire saper leggere le contraddizioni della situazione concreta e in essa cogliere l’attualità della rivoluzione: in questo suggerimento metodologico e strategico è condensata la folgorante lettura leniniana del materialismo storico dialettico. Leggere la situazione concreta vuol dire non solo affermare che, rispetto al Secolo Breve, il mondo è radicalmente cambiato, ma anche saper analizzare questa trasformazione epocale. Non solo. Occorre anche saper cogliere in queste trasformazioni, le contraddizioni che rendono ancora attuale, immaginabile, esigibile, realizzabile la rivoluzione comunista.
Sta qui la sfida del centenario 1917-2017: dobbiamo parlare della Rivoluzione bolscevica e della sua attualità, partendo dalla sua inattualità. Esprimerne l’inattualità vuol dire costruire una sintesi efficace di come il capitalismo e l’imperialismo siano in una fase completamente diversa da quella del ’17 e di tutto il Secolo Breve: un cambiamento che investe la composizione di classe, la forma dello Stato, la forma della guerra. E pertanto di come quell’esperienza storica abbia contorni non immediatamente riproducibili. Molte questioni poste all’ordine del giorno nel ’17, oggi risultano completamente superate e molte di nuove si mostrano fondamentali per un pensiero strategico rivoluzionario all’altezza dei tempi. Eppure nella sua inattualità, ci restano almeno due nuclei, tuttora decisamente attuali: il metodo leniniano con cui costruire il pensiero strategico rivoluzionario di una organizzazione rivoluzionaria e l’internazionalismo proletario che nel ’17 riuscì a dare linguaggio a tutti i popoli colonizzati, fino ad allora espulsi da ogni terreno politico. Oggi più che mai l’attualità della necessità della soggettività rivoluzionaria e dell’idea forza internazionalista dell’Ottobre va riaffermata e praticata. Oggi questo diventa quanto mai urgente, in uno scenario dove la sconfitta dei movimenti rivoluzionari ha fatto scomparire e dimenticare il messaggio di emancipazione e riscatto per i proletari in quanto classe universale, contenuto nel comunismo, permettendo il dilagare del nichilismo tra i proletari occidentali e di ideologie alienate come l’Islam politico tra le masse diseredate, divenute facilmente preda di nuove forze imperialiste.
Per questo non è aggirabile, per affrontare fino in fondo l’inattualità dell’Ottobre, il tema della sconfitta e delle sue conseguenze, che occorre avere il coraggio di affrontare. L’implosione dell’Urss ha inaugurato l’epoca del pensiero unico, della fine della Storia, dalle cui maglie, nonostante la crisi sistemica di cui il capitalismo è preda da più di nove anni, fatichiamo a liberarci. Non solo, il fallimento del socialismo reale ha permesso alla borghesia di dichiarare superato il comunismo, di bollarlo come forma politica sconfitta e perciò archiviata per sempre. Il primo passo dunque – l’occasione da cogliere in questa ricorrenza – è costruire un nostro discorso, capace di restituire la complessità storica e politica che ha prodotto la fine dell’esperienza sovietica e di smascherare la natura ideologica del discorso prodotto dalle borghesie sull’esperienza rivoluzionaria sovietica durata quanto il Secolo Breve. Una complessità politica, quella dell’implosione dell’Urss, che squaderna un ampio spettro di questioni da saper pensare e affrontare, e che ci proietta immediatamente dentro il tema dell’attualità della rivoluzione. È necessario infatti cominciare a parlare nuovamente delle condizioni che rendono possibile fare la rivoluzione, non solo di come si distrugge il vecchio potere, ma anche dei contorni e dei contenuti che avrà il mondo che vogliamo costruire. A rendere assolutamente attuale e necessaria la pars construens del discorso rivoluzionario, è il dilagare dei populismi di destra come unica alternativa riconosciuta credibile dai proletari occidentali contro i progetti oligarchici delle élites imperialiste. Non può, infatti, certamente bastare invertire il segno ai discorsi populisti poiché la loro natura, per quanto eclettica, è completamente ascritta all’ambito della reazione. Qui, cioè sulla pars costruens, si aprono le vere questioni. Oggi, a differenza di quanto andava in scena nel ’17, il modo di produzione capitalista è interamente sussunto dal capitale finanziario. Il suo funzionamento è puramente parassitario. Esso non può, pertanto, più essere preso come base e al limite “modello” del socialismo. Il celebre esempio di Lenin sull’organizzazione della posta come presupposto per l’avvio di una economia socialista, non è più valido. Nel passato, e questo è stato vero fino almeno agli anni Settanta/Ottanta del secolo scorso, anche nei nostri mondi la produzione era legata a una serie di bisogni e necessità difficilmente contestabili. Oggi, di ciò, ne restano soltanto, ancorché importanti, semplici tracce. La stragrande maggioranza dei lavoratori avrebbe non poche difficoltà a prendere tra le mani, a socializzare, la propria attività, poiché questa o è inutile, il mastodontico mondo burocratico, o è l’esatto frutto di quel processo di alienazione, ben descritto da Marx nel VI Capitolo inedito del Capitale, che rappresenta il passaggio dal dominio formale al dominio reale del capitale. Senza dimenticare, perché si tratta di una questione difficilmente sottovalutabile, il peso che la questione ambientale nella sua complessità di implicazioni, riveste oggi.
Bisogna sognare! Il sogno, però, oggi dalla veglia sembra aver ben poco da attingere. Almeno nei nostri mondi. Ben diverso, però, si mostra lo scenario se osserviamo il sistema – mondo nel suo insieme. È qui, nell’internazionalismo mandato in scena dall’Ottobre, che oggi il messaggio del ’17 ritrova la sua piena attualità. Questo per almeno due buoni motivi. Da un lato la produzione è concentrata fuori dai perimetri dei tradizionali paesi imperialisti, il che consegna al proletariato internazionale un ruolo strategico forse mai conosciuto. In seconda battuta è il capitalismo stesso che ormai si muove su un piano transnazionale. Non si può, realisticamente, pensare di affrontare un nemico che agisce internazionalmente, giocando a tutto campo, rimanendo ancorati all’interno delle mappe territoriali del passato. Sulla rimessa in circolo dell’internazionalismo, come fattore centrale dell’iniziativa politica, sembra possibile mandare in archivio ciò che di inattuale vi è dell’Ottobre e attualizzarne il senso dentro la fase dell’imperialismo globale.
La sfida è ampia e complessa, ma raccoglierla in tutta la sua portata rappresenta l’occasione per riattivare un dibattito politico intorno a temi centrali e per cercare di ridare fiato ad un’ipotesi rivoluzionaria e ad una forza in grado di sostenerla.
Hic Rhodus. Hic salta.

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