giovedì 17 agosto 2017

In un progetto politico degno di questo nome la leadership si deve formare democraticamente di Giuseppe Lalli

 
Come ho scritto altre volte, pur non sentendomi personalmente coinvolto da questo progetto, da cittadino appassionato di politica, mi sento di dire che nel MDP-Articolo 1 e in questa area alla sinistra del PD mi pare di scorgere ambiguità e contraddizioni. Innanzitutto non è stato mai chiaro il ruolo di ‘federatore’ che Pisapia si è ritagliato. Una domanda preliminare : chi lo ha nominato? Mi pare continui ottusamente la vecchia logica dell’uomo della Provvidenza. In un progetto politico degno di questo nome la leadership si deve formare democraticamente sulla base un percorso condiviso e un dibattito democratico che si sviluppi a partire da alcuni valori di riferimento e da alcuni obiettivi strategici.
Il gruppo dirigente non può ridursi comunque mai ad “un uomo solo al comando”. Diversamente, si riproduce il meccanismo che in questi anni ha portato alla ribalta politica leader come Berlusconi e Renzi, espressioni entrambi di quella cultura dell’immagine su cui si sta logorando la nostra democrazia. Riguardo poi, specificamente, a Pisapia, persona dabbene e di vago richiamo deamicisiano (sembra proprio il maestro Perboni del libro ‘Cuore’), tutto su può dire meno che abbia le idee chiare.
Si illudonono, lui e Prodi, di riesumare una stagione morta e sepolta come quella dell’Ulivo. Oggi la politica italiana si trova in mare aperto. Infatti, la situazione politica europea ed internazionale è molto più incerta e complessa rispetto alla stagione degli anni novanta, rispetto alla quale le soluzioni riformiste alla Tony Blair appaiono molto appannato. Nel nostro Paese tutto è reso più incerto da un quadro di forte instabilità politica ed istituzionale. Prova ne sia che non sappiamo ancora con quale legge elettorale si andrà a votare.
L’illusione che si coltiva in questo arcipelago alla sinistra del PD è quella di poter costringere Renzi ad adottare una logica di coalizione. Questo non avverrà mai, giacché dovrebbe essere chiaro che Renzi preferisce perdesse da solo piuttosto che vincere con una coalizione con forze politiche che lo costringerebbero a rimettere in discussione alcuni capisaldi del suo pensiero economico – sociale. Ciò che alcuni leader dell’Articolo 1 fanno finta di non capire, a mio modo di vedere, è che la leadership di Renzi all’interno del PD è ben salda. Difettano, i vari D’Alema e Bersani, della necessaria lucidità politica per vedere che l’attuale linea politica del Partito Democratico ha il sostanziale consenso sia dei militanti che degli stessi elettori, che non vogliono andare all’opposizione. Vi è, in questo senso, una analogia, ‘mutatis mutandis’, con quanto avveniva con la DC. Gli elettori del PD non sono gli stessi del PDS o dei DS, hanno cambiato pelle.
Sbaglia, a mio avviso, chi crede che Matteo Renzi sia un leader abusivo rispetto alla base elettorale. Il ragazzo di Rignano sull’Arno, intanto ha potuto lanciare sul partito ‘di sinistra’ un’OPA vincente in quanto nel soggetto politico erede del PC-PDS-DS è giunta a compimento una mutazione genetica iniziata già con Walter Veltroni (si pensi al discorso del Lingotto o alla candidatura di tanti figli di capitani d’industria. Si pensi ad un direttore di Confindustria eletto nelle liste del PD che già prima della Fornero proponeva di abolire le pensioni di anzianità… ). Il PD è oggi un vero fortino assediato, ma viene percepito dal grosso dei suoi attuali elettori come l’unica diga contro i populismi di Grillo e Salvini. Ecco: si ripete l’idea del partito-diga, come ai tempi della DC.
L’idea di un nuovo Centro-sinistra, secondo me, è un’idea illusoria. Una nuova formazione a sinistra può avere un senso e un avvenire politico solo in funzione di netta alternativa al PD. Il resto rischia solo di essere un interessante esercizio accademico.
Mi piacerebbe che su queste considerazioni si aprisse una vera discussione.

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